Non ci interessano gli avversari, né la categoria. Conta la strada

Il Rayo Vallecano rappresenta l’antitesi del calcio d'elite al quale ci ha abituato la città di Madrid.

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Nell’ecosistema dell’industria del calcio siamo spesso tentati di pensare erroneamente che gli unici progetti capaci di guadagnare risonanza mediatica siano modelli che generano fatturati a 6 cifre o appartenenti a club che da sempre godono di un heritage dovuto ai numerosi trofei vinti nella propria storia.

C’è poi un altro micro mondo in cui club di dimensione locale riescono a creare virtuosismi e attività realmente impattanti per la propria comunità. Questo tipo di percezioni sono generate da squadre come il Rayo Vallecano, la squadra Madrid terza per importanza nella capitale dopo Real e Atletico.

Qualcuno potrebbe paragonarli a realtà come il St. Pauli, all’Athletic Club di Bilbao. Sotto certi aspetti in effetti, il Rayo Assomiglia ai Pirati di Amburgo di cui avevamo già parlato in passato.

Il St. Pauli, però, viaggia su un’altra dimensione, soprattutto in termini di marketing e merchandising. Il paragone con l’Athletic, invece, regge se si parla di appartenenza al territorio, alla comunità locale, al quartiere. Ma dimensione sportiva, strutture e rilevanza internazionale sono notevolmente differenti.

La premessa di contesto è che il club in questione vive e, soprattutto in questo periodo, sopravvive all’interno della grande metropoli di Madrid considerando i problemi finanziari che stanno attanagliando la società negli ultimi anni.

Il Rayo rappresenta la terza squadra della capitale spagnola dopo ovviamente i nobili del Real Madrid ed i Colchoneros dell’Atletico che ormai hanno abbandonato il profilo “popolare” per acquisire (meritatamente) la targa di top club tra i più importanti del mondo, grazie soprattutto agli effetti di quello che è stato definito il Cholismo.

Unica e massima espressione del barrio

Il Rayo Vallecano è la massima espressione, e soprattutto l’unica, del quartiere di Vallecas, barrio lontano dalle luci del centro che accoglie e raccoglie oltre 250.000 persone.

Per lo più operai, lavoratori che si trovano ad usufruire della zona di Vallecas più come quartiere dormitorio, per poi ripartire all’alba, direzione lavoro. Una zona popolare, un’area di periferia che in qualche modo si trasforma in un grande paese, dove tutti si conoscono e dove tutti tifano Rayo.

Non c’è scelta, tanto è viscerale il legame con il club. Più che senso di appartenenza è una questione di autodeterminazione sociale.

Vale lo stesso per i calciatori, i tecnici ed i dirigenti. Ognuno crea un legame più o meno forte con la tifoseria e a Vallecas tutto viene amplificato all’ennesima potenza.

Per descrivere bene l’essenza che sta alla base dell'appartenenza al Rayo, basta raccontare due episodi per avere una panoramica chiara di quanto accade.

Uno dei calciatori simbolo è stato sicuramente Wilfred Agbonavbare, portiere della Nigeria al Mondiale di USA 1994.

L’estremo difensore vestì la maglia del Rayo Vallecano dal 1990 al 1995, sorprendendo tutti con prestazioni spettacolari tra i pali e rimanendo talmente affascinato dall’ambiente Rayo che decise di rimanere a vivere con tutta la sua famiglia proprio a Puente de Vallecas.

All’improvviso la sua vita venne sconvolta quando gli venne diagnosticato un tumore alle ossa.

La malattia costrinse la moglie a compiere qualsiasi tipo di lavoro per sostenere le spese mediche che però non riuscirono ad evitare la morte ad appena 48 anni nel gennaio 2015.

La storia colpì tutto il barrio che decise di pagare il viaggio, dalla Nigeria a Madrid, dei figli dell’idolo Agbonavbare affinché potessero salutare il padre per l’ultima volta.

Una storia di vicinanza ad un calciatore che in campo aveva incarnato a pieno i valori del Rayo.

Non diventa più una questione di calcio, ma un qualcosa che va oltre.

Come nel caso della Signora Carmen Martìn Ayuso, aiutata dai supporter vallecanos con una raccolta fondi che coinvolse dirigenza, calciatori, tifosi e sponsor affinché non venisse cacciata da casa e potesse pagare tutti i suoi debiti.

Quei 20.000 euro raccolti tra tutte le parti coinvolte vicine alla squadra furono essenziali per permettere alla Signora Ayuso di non finire in strada.

Ancora una volta una storia di solidarietà che avvicina ancora di più il concetto di famiglia a quello di squadra.

Una storia controcorrente

Il Rayo è quel club capace, ad esempio, di battere il Barcellona per 1-0 sia all’andata che al ritorno nella stagione de LaLiga 2021-2022.

Anche se, probabilmente, il risultato più incredibile fu il raggiungimento dei quarti di finale dell’allora Coppa UEFA nell’anno calcistico 2000/2001, sconfitti solo da un’altra outsider spagnola come il Deportivo Alaves (fun fact, in quella squadra giocava e segnò nella sfida di ritorno Jordi Cruijff, figlio del celebre Johan).

La storia del Rayo Vallecano è fatta di molte stagioni in Segunda Division, più di qualche apparizione nella massima serie e alcuni campioni passati a Vallecas: Hugo Sanchez, l’austriaco Toni Polster, lo squalo Alvaro Negredo, Diego Costa ed in ultimo Falcao.

Un elenco dei giocatori più rappresentativi che hanno vestito la casacca del club fondato nel 1924 e caratterizzata dalla maglia bianca con una linea trasversale rossa, oggi stilizzata in un “fulmine”.

È il 29 Maggio quando nacque l’Agrupacion Deportiva El Rayo, denominazione successivamente modificata in Agrupacion Deportiva Rayo Vallecano.

Un percorso che inizia con 27 anni tra terza e seconda serie sino al primo storico approdo ne LaLiga nel 1977. La sua storia è importante quanto ammirevole, ma ciò che conta è quello che rappresenta fuori.

Il Rayo Vallecano rappresenta un quartiere lontano dalle vie dello shopping, del turismo e della movida. È un barrio super popolare, operaio, che anche durante il franchismo ha rappresentato una posizione opposta e di contrasto al regime dittatoriale.

I Bukaneros sono coloro che portano alto lo stendardo in curva, il gruppo organizzato più importante.

Autentici, impegnati politicamente, contrapposti ad ogni forma di discriminazione ed esclusione. I Bukaneros sono fortemente antifascisti. A loro è stata dedicata una canzone dal gruppo spagnolo SKA-P dal titolo “Como un Rayo”.

Il club è fenomeno sociale e anche musicale. Il Rayo Vallecano deve includere, così come fa il barrio di Vallecas.

Tutti sono ben accetti, nessuno è superiore all’altro, tutti devono darsi da fare. E quello che viene definito come il “calcio moderno” continua ad essere avvertito come un nemico per il popolo del Rayo.

Basti pensare alla presentazione di Radamel Falcao quando i fischi diretti al Presidente furono così assordanti da poter ascoltare con fatica le sue parole. La gente di Vallecas non vuole campioni acclamati, bensì uomini che possano incarnarelo spirito del club.

Nel barrio del Rayo Vallecano il legame si fa viscerale

Teatro e casa della squadra è lo stadio Teresa Rivero, bomboniera da 15 mila posti a sedere che viene praticamente vissuto tutti i giorni.

I cancelli sono sempre aperti e all’interno si possono svolgere diverse attività sportive a prezzi popolari.  Lo stadio di Vallecas è lo stadio della gente. Non si tifa Rayo, si vive il barrio.

Il campo da gioco non ha visto solo grandi giocatori ma anche fenomeni musicali come i Queen nel 1986 ed i Metallica nel 1992.

Vivere controcorrente, o a favore di quelli che sono i valori del club, è la caratteristica principale.

Quando il mondo stava cambiando, quando la Spagna e Madrid vivevano il movimento culturale conosciuto come Movida Madrileña nel post-franchismo, nel quartiere si lavorava sui diritti dei lavoratori, sull’assistenza sociale, sul supporto alle famiglie.

Una visione sociale che si è sempre contrapposta ai modelli dominanti, alle istituzioni ed ai top club.

Quando sono arrivato qui, mi sono trovato in un club dove tutti sono ben integrati. Ognuno ha ben chiaro il proprio compito. Qui tutti possono dire la loro, e poco importa la gerarchia. Tutto è collettivo”, disse il direttore sportivo Yanez al suo arrivo.

Oggi il Rayo continua a sgomitare nel grande calcio de LaLiga e continua a regalare emozioni e soddisfazioni ai suoi tifosi.

Il resto, fuori dal campo, lo fa la Fondazione con tantissimi progetti a favore della comunità locale e l’attività costante dei Bukaneros, della gente comune di Puente de Vallecas che magari non s’interessa nemmeno di calcio, ma del Rayo sì.

La squadra è questo e molto di più. Una formazione capace di stupire, orgoglio di un quartiere intero. Passeggiando per Puente di Vallecas vi imbatterete in un murale con su scritto: “Non ci interessano gli avversari, né la categoria. Conta la strada”.

Una frase che spiega perfettamente il senso di appartenenza dei tifosi e la commistione incredibile tra squadra e quartiere che caratterizza il club madrileno.

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