Storia del calcio iraniano: dalla Persia alle proteste per Mahsa Amini

Nel corso della storia il football è riuscito a radicarsi anche nel Golfo Persico. Dalla nascita del fenomeno grazie alle influenze inglesi, alle proteste di oggi per tutelare le donne. Tutto quello che devi sapere sul calcio in Iran.

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L'Iran è una Nazione capace di invertire il trend e l'equilibrio del calcio internazionale.

In un'epoca, infatti, in cui si lamenta l'eccessivo numero di stranieri nei Top 5 campionati europei con il Vecchio Continente a fungere da punto d'arrivo, il Golfo Persico ha tracciato il percorso opposto, accogliendo questo sport come fattore d'immigrazione, ereditandone cultura e applicazione.

Sono stati infatti gli occidentali, nello specifico gli inglesi, a portare il football a Teheran e a regalare alla Repubblica Islamica quello che, oggi, è uno degli sport nazionali più seguiti insieme a pallavolo, lotta e alpinismo.

Una spinta anglo-americana che si è dimostrata essere decisiva per l’insediamento in un Paese ricco di contraddizioni e dalla mentalità mutuata negli anni sulla scia della Rivoluzione Khomeinista del 1978.

Un evento capace di investire completamente le sorti e gli equilibri del Paese, producendo effetti anche sul calcio.

Un momento centrale di quella che fu Persia fino al 1935, Stato Imperiale dell’Iran con la dinastia dei Pahlavi fino al 1979 e, oggi, Repubblica Islamica dell’Iran.



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Sport che oggi da voce agli oppositori del regime, permettendo loro di raccogliere l’attenzione del mondo per condannare i gravissimi episodi di attualità, saturi di una radicata politica antifemminile che si oppone alle basi, fondamentali, della parità dei sessi e che si trasforma in tragedia.

Una piaga che assume il nome e i connotati di Mahsa Amini, ragazza di 22 anni arrestata a Teheran dalla polizia religiosa e brutalmente uccisa per aver indossato l’hijab sbagliato.

Evento ennesimo di un problema statale e culturale che ha portato gli sportivi locali a chiedere a gran voce alla FIFA di bandire il Paese dai prossimi mondiali per sensibilizzare il mondo riguardo l’accaduto. Una protesta che sta avendo eco e supporto internazionale.

Il chogan e gli inglesi

Come anticipato, la Nazione sita sulle coste del Golfo Persico gode di una storia totalmente unica nel suo genere, esposta a cambiamenti talmente profondi da condizionare in modo indelebile qualsiasi epoca iraniana.

Mutualità di forma mentis ed eventi che coinvolge qualsiasi settore e costume culturale, compreso il football.

Uno sport che pone le proprie prime radici, perlomeno concettuali, in una pratica in voga agli arbori della civiltà persiana, nota come chogan.

Gioco il cui obbiettivo era quello di segnare nella porta avversaria, il tutto rigorosamente a cavallo. Molto più vicino al polo che al calcio, ma che segna l’avvento di elementi antesignani di questo sport.

L’insediamento definitivo si avrà infatti nei primi due decenni del XX secolo grazie ad un aspetto che dimostra come la storia dell’uomo sia sempre ciclica: la presenza di giacimenti petroliferi.

Già ad inizio ‘900 si registrano i primi arrivi occidentali in Persia col fine chiaro di prelevare il petrolio locale, risorsa centrale per tutta l’economia del Medio Oriente.

Soprattutto da parte di impiegati inglesi e missionari americani.

Nella capitale Teheran era infatti foltissima la presenza di esponenti della legislazione britannica, i quali, rispettando la veste di inventori del gioco, iniziarono a praticarlo sul territorio.

Inizialmente malvisti dalla gente locale, sempre piuttosto restia verso le usanze occidentali, per poi ammorbidirsi imparando ad apprezzarne i pregi.  

Un avvicinamento che porterà i lavoratori della Banca Imperiale e della compagnia telegrafica indo – persiana a disporre di squadre proprie.

Nel sud dell’Iran giocavano tra loro, infatti, gli ingegneri dei giacimenti di Ābādān e Masjed Solaymān, superando quindi definitivamente la connotazione del calcio come “gioco degli infedeli”.

L'influenza americana

Le prime squadre vere e proprie, tuttavia, nascono grazie ai missionari americani i quali, nel 1915 capitanati da Samuel M. Jordan, inseriscono il football nel programma di educazione fisica dell’American College.

Creando un importante precedente capace, molto presto, di diventare modello da imitare.

Aspetto che finì col decretare l’espansione dell’idea anche in altre scuole e addirittura a smuovere l’opinione locale fino a credere che il calcio potesse, al contrario della tradizionale palestra della zūr-kāna, inculcare i valori della cooperazione.

E che portò alla nascita, nel 1921, dell’Associazione per la promozione e l’avanzamento del calcio, poi diventata Federazione calcistica persiana, entrata a far parte della FIFA nel 1945.

La vittoria contro Israele e la Rivoluzione

Ormai ufficiale la passione degli iraniani nei confronti di questo sport, verso gli anni ’30 del 1900 la Delfi del calcio locale era rappresentata dalla capitale Teheran, portando poi alla nascita a grappolo di squadre rivali in giro per il Paese.

Su tutte il Tufan, il Taj e il Persepolis, ad oggi la più vincente dell’Iran con 14 titoli all’attivo. Ma anche Sarbaz, Darayi, Kian e Shahin.



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Tuttavia, l’apice della passione calcistica viene toccato nel 1968 grazie alla Nazionale e alla vittoria contro Israele nella finale di Coppa delle Nazioni Asiatiche, giocata proprio a Teheran, e che segna una delle prime soddisfazioni in un periodo storico in cui le vittorie erano relegate alla sola lotta.

Appena dieci anni dopo, però, scocca la Rivoluzione Islamica e il calcio ne risente direttamente.

Gli effetti dell'islamizzazione e l'eslusione delle donne

Taj e Persepolis, nel frattempo diventate acerrime rivali, vengono rinominate Esteqlal e Piruzi, ma, soprattutto, il nuovo regime si mostrò da subito per nulla ben disposto nei confronti del calcio.

Vedendolo come vessillo dei tifosi europei, troppo chiassosi per i leader locali, e dei prezzi eccessivamente alti dei giocatori, aspetti simbolo della degenerazione della cultura atletica occidentale, estremamente distante dallo spirito cavalleresco della tradizione persiana.

Avversità intellettuale che non ne comportò però la cancellazione, portandone invece ad una nazionalizzazione, da subito esposta verso un’esclusione delle donne, concretizzata con il divieto di assistere alle partite.

Per poi raggiungere una maggiore apertura, sempre ed unicamente ad appannaggio maschile, alla morte dell’Ayatollah Khomeini nel 1989, anno dal quale venne ampliata la copertura mediatica.

I successi della Nazionale

Prima della Rivoluzione e, quindi, del biennio 1978-1979, la Nazionale Iraniana, da sempre chiamata Team Melli dai propri tifosi e nome prescelto anche oggi per l’account ufficiale di Twitter, è stata capace di collezionare svariate vittorie continentali, laureandosi campione d’Asia per tre edizioni consecutive (1968, 1972 e 1976).

Trend positivo mantenuto anche dopo l’islamizzazione, vincendo per 4 volte i Giochi Asiatici del Calcio (1974, 1990, 1998, 2002).

Aggiungendo al tutto anche la qualificazione ai mondiali del 1978, del 2006, del 2014 e del 2018 e, oggi, del 2022.

Mancando l’appuntamento per tutti gli anni ’80 a causa del conflitto in Iraq, evento che ha travolto anche l’Iran avendo avuto poi, inevitabilmente, impatto anche sul calcio.

Il football locale ha subito infatti gravissimi danni ed uno stop che per anni ha avvelenato e rallentato l’escalation del movimento per quasi una decade.

Per poi riaffrontare l’attuale, graduale, crescita con il 70% della popolazione under 30 e molto esposta alla passione per il calcio.

Alimentata e trainata dal talento di giocatori come Sardar Azmoun e Mehdi Taremi, atleti in forza in Europa, rispettivamente al Bayer Leverkusen e al Porto, volenterosi di ricalcare le gesta di Ali Daei, marcatore all time con 109 gol e icona assoluta del Team Melli.

Le proteste contro i femminicidi

Nonostante la continua crescita del movimento nel corso dei decenni, ci ritroviamo oggi a dover parlare di un brusco passo indietro.

Raccontando eventi che non possono far rima con evoluzione, ma solo con dramma. Di femminicidi che non possono plasmarsi a nessuna epoca dell’uomo, tantomeno ad anni, come quelli attuali, in cui parità e diritti dovrebbero essere principi ovvi e legittimi.



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Accadimenti che hanno portato figure apicali ed autorità iraniane dello sport a chiedere alla FIFA di bandire dall’imminente Coppa del Mondo in Qatar la propria nazionale.

Con sullo sfondo la volontà di sospendere la Federcalcio di Teheran, sollecitando la necessità di risolvere il problema e, in ulteriore e seconda istanza, permettere alle donne di assistere alle partite di calcio, essendo ancora pendente il divieto.

Non sorretto da una vera e propria normativa, ma da usanze a tradizioni che ne impediscono l’accesso negli stadi.

Dichiarando: "La Fifa non dovrebbe permettere la partecipazione di un Paese che perseguita attivamente le sue donne, atleti e bambini nell'esercizio dei diritti umani più elementari. Il Consiglio Fifa può e deve sospendere immediatamente l'Iran”.

Una presa di posizione supportata anche dallo Shakhtar Donetsk, icona del calcio ucraino e fermamente dalla parte delle donne iraniane.



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