The voices of football: la storia delle telecronache calcistiche

Dalla primissima radiocronaca del 1928 al ruolo moderno di chi racconta il calcio: ecco come si è voluta la narrazione dello sport più seguito d’Italia.

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Tutti, almeno una volta nella vita, si sono cimentati con il mondo delle telecronache. A livello professionale, per pura ilarità, durante una partita ai videogiochi. Raccontare il calcio, del resto, è uno dei sogni che segue immediatamente quello di giocarci e farlo in prima persona.

Farlo da voce narrante dell’evento, quasi da protagonista parallelo dei ventidue in campo, è il primordiale istinto per ogni appassionato. Ma dove e come sono nate le telecronache sportive e, in particolare, calcistiche?

Anni 20

Facciamo un piccolo salto all’indietro. L’avvento della televisione in Italia permise l’associazione fra immagini e racconto parlato che, però, era già da tempo apparso nell’ambito calcistico. Le radiocronache, infatti, avevano iniziato a diffondersi quasi un trentennio prima dell’arrivo del piccolo schermo. Il 25 marzo 1928, quasi un secolo fa, infatti, veniva trasmessa per la prima volta nel nostro Paese la descrizione radiofonica di una partita di calcio.

Si trattava di un’amichevole fra Italia e Ungheria, volta ad inaugurare lo stadio del Partito Fascista di Roma, nome che aveva a quell’epoca lo stadio Flaminio della Capitale.



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Fu il cronista della Gazzetta dello Sport Giuseppe Sabelli Fioretti a rivestire un ruolo di cui lui stesso, probabilmente, non fu immediatamente consapevole: quello di primo radiocronista della storia del calcio del nostro paese. Fu unidea visionaria ma che, cent’anni dopo, è ancora centrale nella cultura sportiva del nostro paese. Basti pensare che, nonostante i diritti tv e le moltissime piattaforme che rendono disponibili le dirette tv e streaming delle gare, un programma come “Tutto il calcio minuto per minuto” ancor oggi è sempre fra i più amati dagli appassionati. La curiosità? Sabelli Fioretti era un giovane giornalista che si occupava principalmente di ciclismo e pugilato.

La svolta televisiva

Dal finire degli anni venti voliamo all’inizio dei cinquanta. L’Italia scopre la televisione e, di conseguenza, anche lo sport si approccia ad un medium tutto nuovo ma con potenzialità infinite, che tutt’oggi vanno diramandosi. E, dopo la prima volta in radio, arriva il momento anche per l’esordio del calcio sul piccolo schermo.

È il 5 febbraio 1950, a Torino va in scena il match fra Juventus e Milan. Sulle tv del capoluogo piemontese, attive solamente da qualche mese, viene trasmessa la partita, raccontata dalla voce di Carlo Bacarelli, il primissimo telecronista calcistico italiano, morto nel 2010 all’età di 85 anni. 

«C’era il problema tecnico di prolungare i cavi – raccontò Bacarelli nel libro “La Tv per sport” – facemmo due esperimenti: la sfilata di Carnevale in piazza Madama con le telecamere montate in alto sulle scale dei pompieri in modo da inquadrare via Po; la ripresa di Juventus-Milan, partita che si giocò in un pomeriggio di nebbia: vedevo figure vaghe, allora commentai guardando il monitor e mi accorsi che l’occhio elettronico è più sensibile di quello umano. Fu una grande scoperta, pose le basi della grammatica televisiva, il telecronista deve raccontare quello che vede sul monitor perché corrisponde a quello che vede il telespettatore. Il Milan vinse 7-1 e Parola, simbolo di fair-play, proprio nel giorno del debutto delle telecamere perse la testa: sferrò un calcione clamoroso a Nordahl che, incontenibile, lo stava facendo impazzire».

Ci vollero oltre tre anni e mezzo perchè l’esperimento divenisse da locale a nazionale. Sono le 15:45 di mercoledì 21 ottobre 1953, a San Siro è in corso un allenamento della Nazionale italiana. La Rai manda in onda l’evento, contraddistinto da una partita d’allenamento fra gli azzurri, divisi in due gruppi. La telecronaca, la prima in assoluto, fu affidata alle voci di Nicolò Carosio e Carlo Bacarelli.

Due mesi dopo questa prova generale, l’Italia torna in campo e in TV domenica 13 dicembre 1953. La Rai trasmette da Genova il match Italia-Cecoslovacchia, valida per la Coppa Internazionale; l’incontro non viene trasmesso nella sua totalità, bensì a partite dal secondo tempo, con il racconto affidato ancora a Carlo Bacarelli, accompagnato stavolta da Vittorio Veltroni. I due saranno telecronisti dell'Italia anche nei Mondiali di Svizzera del 1954. È la prima, vera, partita trasmessa live su tutto il territorio nazionale.

Il ruolo che diventa icona

Col passare degli anni, il ruolo inizia a diventare popolare. Il calcio diventa uno sport centrale nella cultura del paese e, come logico che sia, il suo racconto e coloro che lo realizzano ne seguono la parabola. I giornalisti che si cimentano nella pratica della telecronaca finiscono con l’esserne assorbiti, creando un vero e proprio ramo della professione. In occasione di grossi successi, poi, il nome e la voce di chi li ha raccontati finisce con l’essere scolpito nella storia, quasi come parte della squadra capace di realizzare l’impresa portata a termine.

In Rai si affermano voci classiche, coincidenti con un mezzo comunque nuovo. Sandro Ciotti, Nando Martellini e Bruno Pizzul si prendono la scena, sopratutto in occasione di grandissimi eventi come Olimpiadi e Mondiali di calcio. Tre voci, tre modi di raccontare, picchi di storia sportiva del nostro paese. Riecheggia ancor oggi il triplice “Campioni del Mondo” di Martellini a celebrare l’impresa nella notte di Madrid del 1982. Gli anni passano e in Italia arrivano anche le tv private e le Pay. Bruno Longhi, Sandro Piccinini e Fabio Caressa diventano i protagonisti di notti europee e del campionato di Serie A. In radio, invece, la scena - o meglio, il microfono - se lo prendono Riccardo Cucchi e Francesco Repice. Il ruolo inizia a delinearsi sempre di più, anche per via dell’evoluzione della figura di radio/telecronista.

Non si tratta più del solo racconto. Chi si occupa del narrare l’evento inizia anche a inserire in esso un contributo personale, che sia la propria visione o le curiosità che ognuno di loro riesce a trovare. In più nascono i tormentoni, le frasi celebri. Dalla “sciabolata morbida” di Piccinini al commento del gol con l’urlo del nome e del cognome del marcatore da parte di Caressa. E più il calcio diventa live, più diventano molti (e bravi) i telecronisti: Maurizio Compagnoni, Massimo Marianella, Pierluigi Pardo, Stefano Borghi, Massimo Callegari. E, allargando il proprio occhio oltre il calcio, non si possono non menzionare altri celebri narratori sportivi: Federico Buffa, Flavio Tranquillo, Guido Meda, Carlo Vanzini.

Non più “solo” cronaca

Ognuno ha una sua peculiarità. È questo il fattore che, pian piano, diventa discriminante nel mondo delle telecronache, evolutosi praticamente di pari passo alle piattaforme e ai modi di fruire del calcio. Come detto, nascono i tormentoni, nascono i personaggi, destinati a divenire dei veri e propri miti. Ognuno ha un tratto distintivo che, col passare degli anni passa dall’essere semplice differenziazione delle telecronache a elemento totalizzante della propria figura giornalistica.

La “semplice” cronaca diventa evento, la narrazione cresce d’importanza arricchendosi di figure come la seconda voce - il più delle volte un ex giocatore/allenatore che racconta i risvolti più tecnici - e la presenza di uno o più bordocampisti. Un racconto a diverse voci che gioca una partita quasi parallela a quella disputata in campo e che, come bene abbiamo visto anche negli ultimi Mondiali in Qatar, a volte finisce per essere quasi più importante.

Non è più solo cronaca, ma di una vera e propria narrazione, ormai divenuta parte fondamentale del pianeta calcio.



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