Nicolini: "Ecco come ho vissuto la guerra. Il popolo ucraino saprà rialzarsi"

Abbiamo intervistato il vice direttore sportivo dello Shakhtar Donetsk, Carlo Nicolini, che ci ha raccontato il dramma della guerra, elogiando a più riprese la forza, l'orgoglio e la tenacia del popolo ucraino.

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La guerra in Ucraina continua. Il conflitto è ancora (purtroppo) acceso e tutto il mondo osserva interessato l'evoluzione sperando nella fine.

La speranza è, appunto, che tutto questo presto possa finire anche se le immagini in tv e sui social sono le istantanee di un dramma quotidiano. Non vogliamo entrare in questioni politiche, ma abbiamo raccolto la testimonianza e le sensazioni di chi da anni è protagonista in Ucraina: Carlo Nicolini, attuale Vice Direttore Sportivo dello Shakhtar Donetsk.

Direttore, partiamo dai primi giorni dopo lo scoppio della guerra. Possiamo solo immaginare la situazione, quali sono state le prime sensazioni?

Le sensazioni sono state a dir poco strane, ovviamente negative perché non si può associare altro ad un avvenimento come la guerra. Personalmente è stato un incubo che tornava, avendo già vissuto la crisi russo-ucraina con la guerra nel Donbass del Marzo 2014. Una situazione già vissuta che si è trasformata come vediamo tutti in un qualcosa di ancor più cruento. Le emozioni che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo sono un mix tra paura, rabbia, tensione, adrenalina alle quali poi sono prevalsi principi e valori come responsabilità, professionalità, solidarietà verso i nostri calciatori, verso tutto il mondo Shakhtar Donetsk".

"I primi giorni sono stati davvero complessi ma in noi dirigenti e staff, con il pieno supporto del club, dell’UEFA, della FIFA, della Federcalcio ucraina ed anche della FIGC, è prevalso il senso di responsabilità nel capire come muoverci al meglio all’interno di una totale emergenza. I calciatori, o meglio, i ragazzi, ci hanno giustamente preso come punti di riferimento. Non parliamo di calcio, di questioni tecniche ma di vita per uscire da questa guerra. Abbiamo fatto il possibile nel limite di quanto ci è concesso per mettere in sicurezza tutti coloro che potevano uscire dal Paese. Oggi io sono in Italia ma ovviamente la testa è in Ucraina, visto che non solo i calciatori ucraini ma anche tanti collaboratori e dipendenti sono ancora lì”.

Dal suo punto di vista, è possibile immaginare come e quando ripartirà il calcio in Ucraina?

Pensare oggi ad una possibile ripresa del campionato o alla speranza di riprendere prima o poi non è una mia e nostra priorità. C’è una guerra e l’unica speranza è che finisca quanto prima. Abbiamo fatto il possibile grazie alla piena collaborazione dell’UEFA e di tutte le istituzioni citate precedentemente per aprire una finestra di mercato ad hoc e consentire a tutti i calciatori del campionato di poter proseguire il loro lavoro, perché di lavoro si tratta: qui parliamo di situazioni di famiglie intere coinvolte".


"L’attenzione è giustamente rivolta agli atleti che sono i protagonisti di questo sport ma sapete bene che intorno ad un singolo club operano moltissime figure che non hanno esattamente contratti milionari. Il nostro pensiero va a tutti, non solo al mondo Shakhtar Donetsk ma a tutto il popolo ucraino. Siamo sempre in contatto con chi è rimasto in Ucraina e il nostro compito è di tutelare anche a distanza chi lavora con noi limitando i danni il più possibile. È una situazione che non possiamo controllare ma comunque ognuno nel suo piccolo può fare la propria parte”.

Particolare è stata la situazione di Junior Moraes e degli altri calciatori brasiliani. Cosa ci può dire in merito?

Intorno a Junior Moraes posso dire che c’è stata una cattiva informazione, una di quelle fake news che purtroppo alcuni giornalisti alimentano senza sapere o di proposito. La possibilità di arruolarsi c’è stata e c’è per Junior Moraes come per tutti i nostri 14 calciatori ucraini che sono nel Paese. Il rischio c’è per tutti e sicuramente questo è un motivo di preoccupazione. Junior Moraes è un grande calciatore ma soprattutto un grande uomo, ha avuto un ruolo fondamentale come guida del gruppo brasiliano che grazie al suo sostegno, a quello di De Zerbi e del club, della Federcalcio ucraina e dell’UEFA è stato messo in salvo lasciando il Paese. Junior oggi è in Brasile e non possiamo che esserne felici ma dall’altra parte il nostro quotidiano pensiero va a chi è rimasto, a chi non può uscire dai confini con la paura di esser chiamati alle armi da un giorno ad un altro”.

È sicuramente difficile parlare di calcio in questo contesto ma proviamo a “distrarci” pensando ad altro. Ormai è da anni in Ucraina, qual è il suo personale bilancio?

Il mio bilancio è a dir poco positivo. In 12 anni ho vinto molto e questo di per sé già è un dato certo. Grazie agli investimenti del club, al lavoro di tutti, abbiamo portato lo Shakhtar Donetsk ai vertici del calcio nazionale ed internazionale: questo è un grande orgoglio. C’è stato un tempo in cui il calcio ucraino non aveva nulla da invidiare ai grandi campionati europei, ponendosi sotto solo ad Inghilterra, Germania, Spagna ed Italia. Erano gli anni 2008, 2009 e 2010, quando il movimento non era rappresentato solo da noi e dalla Dinamo Kiev, ma c’erano importanti realtà in crescita come ad esempio il Metalist ed il Dnipro che nel 2015 disputò la finale di Europa League perdendo con il Siviglia. La guerra del Donbass ha poi frenato questa costante crescita, ha fatto scappare atleti, dirigenti e soprattutto grandi investitori, frenando lo sviluppo di tutto il movimento. Prima di questa tragica situazione, eravamo riparti per costruire di nuovo qualcosa di importante".


"Gli ottimi risultati della nazionale di Shevchenko agli ultimi Europei, i tanti giovani talenti, l’arrivo di De Zerbi erano elementi sul quale stavamo puntando tutti per tornare al livello degli anni scorsi. Lo Shakhtar negli ultimi anni è stato il club più vincente del Paese e come tale motore trainante del sistema calcio nazionale ma oggi c’è altro a cui pensare, purtroppo. Conoscendo l’animo del popolo ucraino sono sicuro che sapranno riprendersi anche da questo: sono orgogliosi, forti, tenaci e si rimetteranno ancora una volta in piedi”.

Essendo da tanti anni all’estero, le chiediamo di darci un punto di vista “esterno” sul nostro calcio. Secondo lei a che punto siamo oggi e soprattutto dove dobbiamo ancora lavorare tanto?

Il calcio italiano riesce sempre a “galleggiare” e rimanere competitivo quantomeno in campo. Tutti noi viviamo per questo sport, abbiamo il calcio nel DNA per storia, tradizione e cultura. Riusciamo sempre a cavarcela, a raggiungere importanti risultati e questo, da una parte è un bene, dall’altra risulta essere un limite importante rispetto il resto d’Europa. Passatemi il termine, siamo spesso arroganti e ci specchiamo in questa capacità di raggiungere risultati nonostante tutto. È evidente il ritardo in diversi settori: investimenti, strutture, stadi. Non riusciamo ad essere lungimiranti, reattivi al cambiamento, al nuovo che avanza. Il caso di De Zerbi è evidente, è il modo migliore per spiegare il mio pensiero: è possibile che un allenatore emergente così forte, che ha raggiunto straordinari risultati con il Sassuolo, valorizzato tutti i suoi calciatori mostrando un calcio spettacolare e concreto, sia dovuto andare all’estero?"

"Non è vero che è venuto da noi per una questione economica ma per il progetto che gli è stato presentato, per le strutture, per le ambizioni e per la possibilità di potersi esprimere al meglio, con il suo credo, con le sue idee. Credo che questa situazione sia emblematica. Nel nostro sistema calcio la burocrazia rallenta ogni progetto strutturale, a livello di stadi siamo forse tra i peggiori Paesi d’Europa. Questo è un peccato, un vero peccato perché siamo pieni di uomini di calcio di valore che potrebbero dare la spinta giusta a tutto il movimento. Mancano gli investimenti, manca la pianificazione”.

Per concludere, ha avuto la fortuna e merito di poter lavorare al fianco di tantissimi campioni, di grandi dirigenti ed addetti ai lavori. Fra tutti, c’è qualcuno in particolare che le ha trasmesso o lasciato qualcosa nello specifico?

Lungo l’arco di tutta la mia carriera in Ucraina così come in Turchia ho avuto la fortuna di lavorare con tanti calciatori, dirigenti e collaboratori di altissimo livello. Non vorrei scontentare nessuno perché davvero dovrei fare una lista infinita. Posso dire che sicuramente Darijo Srna è stato un capitano straordinario, un esempio in campo ed in ogni allenamento: serietà, determinazione, professionalità. Sto apprendendo tantissimo anche da De Zerbi, che già conoscevo, sia da un punto di vista tecnico che umano".

"Prima parlavamo di visione e lungimiranza, credo che uno dei più grandi esempi in tal senso nel mondo del calcio è il nostro Presidente Rinat Achmetov, passione e competenza al servizio del club e non solo: protagonista assoluto della crescita del calcio ucraino negli ultimi anni. Poi aggiungerei sicuramente Mircea Lucescu, un vincente, un professionista unico. Di lui mi ha sempre impressionato la forza e la capacità di insegnare calcio, la visione tecnico-tattica che gli ha consentito spesso di guardare avanti, anticipare i tempi e reinventarsi insieme all’evoluzione del calcio. Ecco questi sono alcuni dei nomi che posso farvi, ma in realtà i nomi potrebbero essere infiniti”.

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