[ESCLUSIVA] Davide Lanzafame: "Il paragone con Ronaldo ha portato pro e contro. Calciatori in Arabia? Difficile rifiutare quelle cifre"

Dagli albori in maglia bianconera sino ad arrivare all'esperienze in Ungheria e Turchia, passando anche per la nuova avventura da allenatore, Davide Lanzafame, ex Juventus, Bari e Palermo tra i tanti, ci ha raccontato gli aspetti più importanti della sua carriera, toccando diverse tematiche

Photo by Valerio Pennicino/Getty Images

Una carriera in giro per l'Europa, da i primi passi in maglia Juventus, con tutti i grandi presupposti del caso, ai passaggi a Bari, sotto la guida di Antonio Conte, a Parma, Palermo, Catania e Brescia, prima di passare in Ungheria e Turchia, Davide Lanzafame ci ha raccontato alcuni episodi chiave della sua esperienza da calciatore, toccando tante tematiche, tra cui anche quel paragone Cristiano Ronaldo

I modelli: Antonio Conte e Marco Rossi

Quanto sono cambiati i ruoli di allenatore e calciatore nel corso degli anni?

C’è stata un’evoluzione in entrambe le figure. L’allenatore una volta era più di campo, ora, diversamente, ha un diverso modo di gestire la parte comunicazionale, sia con i media che con il gruppo. Questa è diventata molto più strategica, oggi la parola ha un peso e sbagliare può essere deleterio. Nel calcio odierno è necessario ponderare ogni dichiarazione, oltre che gestire l’aspetto psicologico dei ragazzi. Loro vivono tra direttori, procuratori e società e, quindi, per loro l’allenatore diventa una figura fondamentale, bisogna essere più premurosi. I calciatori, invece, hanno una maggiore consapevolezza su molte tematiche quali l’alimentazione, le patologie, infortuni, oltre a tutta la parte extra campo. Si è trasformato anche il mercato e tre o quattro mesi ad alto livello possono cambiarti la carriera. Prima era necessaria una maggiore gavetta, serivavano diverse annate di un certo tempo per affermarti”.

In questo aspetto quanto conta il ruolo dei media?

“Tanto, sarebbe ipocrita dire che non conti, fa tutto parte del pacchetto del marketing esterno inerente al singolo. Chiaro che avere un procuratore importante, essere di una società di rilievo e avere i media dalla propria garantisce un aumento di evoluzione più rapida in confronto ad altre dinamiche. Magari in Serie C ci sono giocatori, anche di squadre di seconda fascia, non meno qualitativamente validi che non vengono sponsorizzati e fanno più fatica”. 

C’è qualche allenatore che ti ha condizionato, tra quelli incontrati durante la tua carriera dal calciatore?

“Assolutamente sì. Dalla mentalità, dalle idee, passando per l’approccio a gara e allenamenti, sicuramente Antonio Conte. Lo considero un modello, è il quarto anno che alleno e ho cercato di prendere il più possibile dal periodo vissuto con lui a Bari. Un altro, invece, è Marco Rossi. Con lui ho vissuto un momento diverso, ero più adulto, ed è stata una persona formidabile. A livello umano riusciva ad entrare maggiormente nel calciatore e gestire meglio la situazione, nonostante i modi comunicativi duri. Non è un caso che oggi che sia uno dei commissari tecnici delle nazionali europei in maggiore ascesa e tra i più longevi. È diventato una vera e propria istituzione del calcio ungherese, con gavetta, esperienza e tanti anni di sacrificio. Sono i due tecnici che mi hanno dato di più e che oggi utilizzo come esempi”.

A proposito di Marco Rossi, ma anche quello che abbiamo visto Enzo Maresca al Chelsea, pensa che in Italia ci tanta pretesa in poco tempo attorno ai tecnici?

Più che una domanda considero questo come una costatazione dei fatti. È così, il tempo è breve e c’è un mondo saturo di allenatori in maniera abbastanza ampia e importante. Unendo i due fattori, con quantificazione di allenatori e squadre c’è una disparità grande. Naturalmente, questo condiziona e alle prime difficoltà si tende a cambiare. Tuttavia c’è un rovescio della medaglia, se si apre un progetto e si scelgono altre vie all’emergere dei primi problemi si vanifica il tutto. Non è facile. Facendo un’analisi lucida, ponendosi nel mezzo tra società e allenatore, bisognerebbe optare per una strada intermedia e dare leggermente più tempo per cercare di sistemare. Purtroppo il tecnico è importante, ma non l’unico artefice dei risultati”.

C’è uno problema simile legato anche alle prestazioni dei calciatori?

“No, è differente. Nonostante alcune prestazioni negative è difficile che la società possa andare a puntare su altri profili, hai più bonus per dire la tua. L’allenatore è sempre attaccato ad un filo, le pressioni sono tante e la parte psicologica diventa la chiave. Bisogna essere lucidi, concreti, cercare alcune volte di isolarsi e guardare i propri calciatori e il proprio staff focalizzandosi sulla gara successiva, senza fasciarsi la testa”. 

L'esperienza con Conte e il paragone con Ronaldo

Una domanda legata al percorso con Conte al Bari, poi passato qualche anno dopo alla Juventus, cosa è successo, cosa è mancato per una tua permanenza in bianconero?

Non sono andato con lui alla Juventus semplicemente per un problema di comproprietà con il Palermo. La società voleva Amauri e Zamparini si impose su una cifra più conguaglio di due calciatori, ovvero me e Nocerino. Quindi, è stata una situazione di mercato su cui non ho avuto potere decisionale, fermo restando che Palermo a quei tempi era davvero una grandissima piazza. Arrivammo settimi e avevamo un parco giocatori importanti, con Miccoli, Simplicio, Kjær, Amelia, Cavani. Chiaro che avendo avuto continuità con Conte a Bari per me sarebbe potuta diventare un’occasione importante in bianconero. Ci sono arrivato con Del Neri, ma il suo gioco non era conforme con il modo di rendere al meglio e questo fa parte di un percorso. Ci sono degli incastri, in alcune sono stato fortunato e in altre meno, ma fa parte della carriera di ogni calciatore”.

A proposito di un aspetto molto importante, il paragone fatto con Cristiano Ronaldo può aver condizionato la tua carriera?

Quando i media pongono delle etichette, soprattutto da giovani, è difficile. Devo riconoscere che in quel momento ero tra i giovani più validi. Ogni ragazzo reagisce in modo differente, ma quel paragone fu importante, io ho dimostrato un po’ meno di quanto potessi fare. Sicuramente in qualche esperienza negativa questo paragone è pesato, ma andando avanti con il tempo è stato tutto ridimensionato. Con l’età si vivono meglio sia le critiche che i complimenti, senza abbattersi o esaltarsi. Ci sono pro e contro, è stato un paragone forte che mi ha permesso di avere una buona risonanza, ma anche di subire critiche più pesanti, c’è sempre il rovescio della medaglia”.

Conte, Cuenca e Tudor

Per Conte, che come già detto conosci bene, arrivato il momento di un salto, visto anche il valore della rosa che la società sta costruendo, anche in campo europeo?

“Ecco, se dovessi trovare un neo, o meglio ancora un punto ancora non completo nella carriera di Antonio Conte, è proprio una vittoria in campo internazionale. È stato un fenomeno nelle costruzioni in rapido tempo, ottenendo risultati enormi in campo nazionale, ma è mancato qualcosa a livello continentale. Certo che un risultato positivo in Europa garantirebbe l’affermazione completa, ma parliamo di un allenatore nella Top5 Mondiale e di un perfezionamento, o meglio di un coronamento, del suo palmares personale”. 

A Parma è arrivato Cuenca, data anche l’età dell’allenatore?

In Italia sia tra i più bravi al mondo in assoluto, ci manca un pochino di coraggio in più. Credo che con tutti gli allenatori bravi e validi italiani è un peccato che ci siano tanti stranieri. La situazione individuale è diversa. A 29 anni è un grande rischio quello preso dal Parma, ma vedremo con il tempo se avrà avuto ragione. Credo che la gavetta faccia parte di un percorso e che possa portare ad un miglioramento più approfondito. Da ex giocatore del Parma mi auguro che faccia grandi cose”.

Come considera la permanenza di Tudor alla Juventus?


Mister Tudor mi piace molto, conosce molto bene l’ambiente, sia da calciatore che nello staff tecnico di Pirlo, ha portato trofei in entrambi i casi, non ha peli sulla lingua, fa scelte forti e senza guardare all’aspetto “politico”. Penso che sia rimasto un ottimo allenatore, chiaro che ha già una grande esperienza. Credo che la la continuità, al momento, sia fondamentale”.

Ungheria e Turchia: due movimenti in crescita

Qual è il momento più importante della tua carriera da calciatore?

L’arrivo in prima squadra alla Juventus, frutto di un lungo percorso del settore giovanile, e i cinque anni in Ungheria, dove ho avuto la fortuna di vincere due campionati, due titoli di capocannoniere con altrettante squadre, una coppa nazionale”. 

In Ungheria c’è una crescita, con diversi calciatori nei top club europei e un miglioramento delle strutture.

In Ungheria c’è un’evoluzione importante sul parco calciatori, tanti giocano in Bundesliga. C’è un rilevante margine anche sulle strutture. Orban ha fatto tante cose belle nel movimento calcistico, penso che possa solo migliorare”.

Il problema strutture in Italia, invece, un tuo parere.

Siamo nettamente indietro. Ho giocato in Ungheria e Turchia, dove anche società di serie inferiori hanno strutture all’avanguardia, con otto o dieci campi di allenamento e stadi completamente nuovi, è inevitabile”.

La Turchia è in crescita, e lo dimostra la scelta di tanti calciatori.

“È un campionato in forte ascesa e stanno girando delle cifre enormi. Delle volte un calciatore sceglie delle strade anche in virtù dell’aspetto economico, come accade ai tanti che scelgono di andare in Arabia Saudita. Spesso sono scelte quasi obbligate. Ci sono delle eccezioni come Kean in Arabia, ma con un ingaggio astronomico è difficile rifiutare”. 

La scelta economica, però, non tocca solo i calciatori, ma anche gli allenatori.

“Stessa dinamica. In Turchia ci sono piazze importanti come Fenerbahçe, Galatasaray e Beşiktaş che sono potenze sia sotto l’aspetto della visibilità che della tifoseria. Poi ragionando, è inevitabile che con la crescita di altri Paesi ci sia uno stazionamento maggiore del calcio italiano. Non siamo più nella prima fascia di vent’anni fa e tanti calciatori o allenatori preferiscono andare altrove”.

I settori giovanili

Per il settore giovanile, nell’Under 20, la Juventus ha puntato su Padoin, può essere il profilo giusto?

È una scelta importante, Padoin è preparato e intelligente. Ho avuto modo di conoscerlo a Coverciano ed è davvero capace. Nei settori giovanili è necessario avere degli istruttori bravi, e per averceli bisogna pagare. Spesso si fanno delle scelte diverse, non investendo tanto su questo aspetto e va a discapito dei più giovani. Chiaro che i buoni calciatori si costruiscono nelle giovanili e avere degli allenatori con esperienza nel calcio giocato può avvantaggiare”.

Quanto sono i cambiati i settori giovanili, considerando la tua esperienza nel settore giovanile della Juventus?

“Tanti eravamo di Torino e non si pescava tanto da fuori regione o dall’estero. Ora ci sono tanti già contrattualizzati già a 16 anni e molto alti. Ricordo il nostro primo contratto professionistico è arrivato in Primavera. Il calcio è in continua evoluzione ed è necessario adeguarsi”. 

Ha parlato di una mancanza di italiani nelle giovanili, si può rapportare lo stesso ragionamento alle categorie inferiori, ragionando da allenatore che conosce i settori?

“Ormai sta diventando un movimento più europeo che nazionale, spesso, a pari forza, si predilige lo straniero all’italiano. Costa meno e si fa un’operazione mirata all’economia. Per limitare è necessario pensare a delle restrizioni in Federazione, con un numero massimo di stranieri per cercare di far crescere il più possibile i nostri giocatori. Chi comanda sa meglio di me come gestire il problema”.

Questo penalizza anche la Nazionale?

“Chiaro che è così. C’è una maggior percentuale di calciatori stranieri e questo va discapito delle selezioni. Bisogna guardare anche all’estero. Ai miei tempi tutti gli Under 21 venivano dalla Serie A, ora ci sono tanti dalla cadetteria o dalla Serie C. È una catena”.

Spesso sentiamo parlare di una mancanza di giovani talentuosi in Italia, è davvero così?

I giovani vanno cresciuti da sei, sette, otto anni. Si deve cercare di valorizzare. Nei settori giovanili stiamo lavorando meno bene. Spero che ci sia un’inversione della rotta con investimento su strutture e istruttori per tornare agli anni Novanta e inizi Duemila”.

Il futuro da allenatore

Ti rivedremo in panchina a settembre?

“Sì, rimarrò in Piemonte e sarò a San Mauro, realtà che vuole crescere e far bene. Sento di poter accettare questa sfida. Sono al quarto anno, spero di poter fare il mio percorso e un giorno di poter ritornare ad alti livelli, come lo sono stato da calciatore”. 

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