Paolo Stringara, tecnico toscano con esperienze internazionali da vice di Jürgen Klinsmann, negli Stati Uniti e in Corea del Sud, ha rilasciato un'intervista ai nostri microfoni parlando dei sistemi calcistici conosciuti nella sua carriera e della trasformazione del ruolo dell'allenatore nel corso del tempo
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Un viaggio con lo sguardo di chi ha potuto vivere sistemi calcistici completamente differenti da quello europeo. Paolo Stringara, tecnico ed ex calciatore dell’Inter, ha coperto il ruolo di vice di Jürgen Klinsmann nelle esperienze con la nazionale statunitense – nel 2015-2016 – e con quella coreana – nel 2023-2024. In questa intervista, l’allenatore toscano ci ha parlato non solo delle diverse visioni di calcio nelle nazioni sopracitate, ma anche della trasformazione del ruolo della guida tecnica e della necessità di cambiamento dei settori giovanili nel calcio italiano.
La sua esperienza negli Stati Uniti accanto a Jürgen Klinsmann, come viene percepito il calcio e quali sono le particolarità?
“Negli Stati Uniti è tutto votato allo show-business. Loro, in maniera più generalistica, vivono lo sport, e non solo il calcio, in questo modo. La forma, la vendita, sono aspetti fondamentali. Faccio un esempio: prima della partita c’era un programma orario ben definito con una serie di iniziative, molto diverse dall’Italia, che noi eravamo costretti a seguire. L’arrivo alla gara è completamente differente, anche rispetto alla Corea del Sud”.
Qual è l’importanza del sistema scolastico-universitario, sia Corea del Sud che negli Stati Uniti, nella formazione dei nuovi calciatori?
“Andavamo ad allenarci nelle università, dove c’erano campi fantastici e delle palestre immense. Parlando con Jürgen si ragionava anche sul monte ore dedicate all’educazione motoria, ben al di sotto nel sistema italiano. La maggior parte dei calciatori coreani vengono formati nelle università. Difatti, esiste un campionato universitario che fornisce il bacino d’utenza agli osservatori, i quali, a loro volta, apportano una selezione. In modo analogo, questo viene fatto anche negli Stati Uniti”.
Quanto sono importanti le infrastrutture?
“Le infrastrutture, parlando del sistema universitario, sono bellissime. Posso raccontarti la mia esperienza in Coppa America, dove abbiamo chiuso al quarto posto, uscendo contro l’Argentina di Messi, cosa non da poco conto, arrivando prima del Brasile e tante nazionali di livello. Ripetendoci in Coppa d’Asia un anno e mezzo fa, riuscendo a portare a casa un risultato importantissimo. In Corea del Sud, in ogni gara casalinga, lo stadio era strapieno e l’80% degli spettatori erano donne, dato molto importante. Gli stadi più belli, invece, sono Qatar, dove appunto abbiamo disputato la Coppa d’Asia, provvisti di copertura e aria condizionata”.
Corrono voci uno screzio tra due elementi della nazionale coreana, anche molto importanti, prima della semifinale contro la Giordania?
“Può darsi”.
Quanto servirebbe in Italia, invece, una trasformazione delle infrastrutture?
“Il mondo avanza e non si può restare indietro. Cambia la tecnologia, così come l’architettura, e non capisco perché siamo ancora fermi all’obsoleto, o addirittura al fatiscente. Siamo bloccati a 35 anni fa, a Italia 1990. Utilizzando l’esperienza dell’hospitality, avendo visto stadi di tutto il mondo, siamo ancora lontani dal moderno e da quanto accade nei luoghi di recente costruzione. Lo stadio dovrebbe essere coperto e dovrebbe offrire alle famiglie la possibilità di andare a vivere la partita. I tifosi devono poter vivere l’esperienza insieme, come ho visto in Coppa America, anche se di squadre differenti”.
Cosa è importante nella crescita dei sistemi giovanili?
“Non deve essere tutto condizionato dal denaro, come vediamo con la grande quantità delle scuole calcio a pagamento. In passato il sistema giovanile non era un business, i ragazzi non erano numeri. Le infrastrutture sono importanti, ma cosa in aggiunta, fondamentale, è che servono degli insegnanti veri. Gli allenatori veramente bravi devono far crescere i ragazzi nell’età chiave, dai 10 ai 13 anni. Spendere sui giovanissimi paga, dovrebbero capirlo le squadre italiane. Bisogna avere gente preparata, che insegni ad amare il calcio. Ripeto, non deve esser fatto tutto in virtù dei conti”.
Quanto è cambiata la figura dell’allenatore?
“Io ricordo benissimo i primi due allenatori da ragazzino – Rinaldo Di Chiara e Renzo Solimeno – diventati dei maestri di vita e punti di riferimento da adulto. Ora è cambiato tutto, è diventato un qualcosa di passaggio. Credo che questo processo, sviluppatosi nell’ultimo ventennio, abbia portato alla situazione attuale. Il gioco del calcio non sui campi, per le strade, è fondamentale per la crescita. Dunque, nei posti dove c’è ancora il tipo di cultura proveniente dalla strada c’è anche una quantità di talenti che esce in modo differente. Altrimenti bisogna creare dei sistemi virtuosi come quello del Barcellona”.
Come cambierebbe il sistema calcistico italiano?
“Darei molti più soldi per gli allenatori dei ragazzi. Le società devono comprendere l’importanza delle figure professionali nel calcio di base. Non bisogna fossilizzarsi sulla tattica, ma è necessario guardare il tutto. Bisogna indirizzare già da piccoli. Così dovrebbe cambiare. I presidenti devono pensare meno a vincere trofei giovanili e più a cercare di portare due o tre giocatori in prima squadra, questo sarebbe il vero trionfo”.
Qual è il futuro del calcio e di quello italiano in particolare?
“Gattuso ha parlato di talenti. Io non sono d’accordo. Guardando al 2006 e ai tempi passati si nota la mancanza di fenomeni nei titolari. Siamo in un momento nero, c’è la necessità di organizzarsi. Bisogna lavorare bene, con lungimiranza. Spero nell’approdo al Mondiale, c’è una generazione che non hai potuto vivere l’Italia in un Coppa del Mondo. La speranza è che cambi un po’ il vento. Necessario partire dai giovani e dalle infrastrutture. Investire porta a guadagnare”.