Una favola calcistica improntata sulla provincia. Antonio Manetti (Manetti Bros.), presente al Lucania Film Festival, ci ha raccontato il suo U.S. Palmese
Il calcio come mezzo per raccontare Palmi e la provincia calabrese. U.S. Palmese, l’ultimo film dei Manetti Bros., è una vera e propria favola sportiva incentrata su due figure: Etienne Morville (Blaise Alfonso), talento francese e stella nascente del panorama internazionale, e don Vincenzo (Rocco Papaleo), pensionato, grande protagonista della vicenda, ideatore del suo ingaggio. I due registi tornano a parlare di calcio, questa volta non lasciandolo sullo sfondo, ma ponendolo sul piano maggiore, a distanza di 28 anni da Torino Boys.
A raccontarci la pellicola e il suo rapporto con il calcio, in collaborazione con il Lucania Film Festival, ove ha preso parte alla terza della manifestazione, è stato Antonio Manetti, regista, autore e produttore cinematografico.
Avete utilizzato il calcio come tramite per raccontare una realtà della provincia calabrese che è Palmi, in che modo lo avete fatto?
“Volevamo raccontare Palmi, questa cittadina della Calabria, in provincia di Reggio Calabria, una città del cuore, in cui è nata nostra madre, a cui noi siamo molto legati. C’è venuta questa storia, nata da un ricordo delle estati in cui abbiamo seguito la preparazione della Palmese, guardandone le partite. Ad un certo punto, in una occasione, un signore ha detto: “Se facciamo una colletta possiamo comprare Maradona”. Erano gli anni ’80, Maradona era al Napoli, e noi abbiamo messo in scena il sogno di questo signore, creando una storia attorno ad un calciatore immaginario e parlando di cosa possa succedere a Palmi qualora dovesse arrivasse un campione”.
Da Torino Boys, vostro primo film, in cui avete trattato il calcio in modo differente, a U.S. Palmese: come è cambiato il modo di parlare di questo argomento nel corso del tempo?
“In Italia è difficile prescindere dal calcio. Anzi, io penso che si facciano troppi pochi film sul calcio. Fa parte della storia e della società italiana. Nel primo film e nell’ultimo abbiamo parlato di calcio. In U.S. Palmese poniamo una critica al sistema odierno, diventato una sorta di baraccone del business più che uno sport, dove tutto gira intorno al denaro. Noi abbiamo voluto raccontare la parabola di un calciatore rovinato da questi aspetti del calcio moderno. In Torino Boys abbiamo toccato l’argomento calcio, rimasto sullo sfondo, lontano, trattandolo come mito. Questa volta il mito scende e arriva a Palmi, come Cristo si è fermato a Eboli, con questa campione che giunge nella provincia e si ritrova in essa”.
Quanto è importante raccontare il calcio di provincia?
“Il calcio di provincia è importante per tornare allo sport, alle basi, e ha tanto da insegnare al calcio dei professionisti. I valori sportivi, ancora vivi nella provincia, vengono dimenticati nel grande calcio. Il modo migliore per raccontarlo è stato tramite una favola calcistica”.
C’è un calciatore, un evento della storia del calcio o dello sport che vi ha ispirato?
“Ce ne sono veramente tanti. Coloro che guardano il nostro film citano Mario Balotelli, ma invece ce ne sono diversi. In qualche modo sì, ma Balotelli è solo uno della lista. Essendo vicini alla Puglia penso ad Antonio Cassano, un giocatore dal talento incredibile, unico, che per colpa di un carattere particolare, unito ad un’attenzione dei media altrettanto specifica, non ha fatto la carriera ipotizzata, pur giungendo a grandissimi livelli. Ci siamo ispirati a tante figure rovinate in partenza e mai sbocciate. Il desiderio è di fare in modo che questi talenti del calcio, soprattutto gli italiani, che spesso vengono relegati in panchina a vantaggio di star provenienti dall’estero, si possono ritrovare. Di questo ne risente la Nazionale, che non è più quella di una volta. Gli italiani di talento quasi non giocano più, soprattutto in attacco, dove siamo costretti a prendere gli oriundi e i finti italiani. Questo fa un po’ fa tristezza”.
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Da tifoso della Roma, in che modo racconterebbe della sua squadra attraverso il cinema?
“La Roma è qualcosa che va oltre il calcio, oltre il tifo, soprattutto per i romanisti di Roma, dove dicono che ci sono due squadre, ma io ne vedo soltanto una. Il fatto di oltrepassare il calcio è il motivo per cui chi non ama la Roma, in città, la odia. È qualcosa che va in virtù del cuore, come il cinema, in linea con la passione, aspetto sui cui la Roma è facilmente raccontabile. Nella passata stagione c’è stato Ranieri. Lui viene da un calcio del passato che fa tornare al vero spirito di questo sport. Sono stato contentissimo perché non solo ha riportato la Roma a giocare un calcio come si deve, ma anche perché è colui che ha creato la leggenda Leicester, la favola per eccellenza del calcio moderno”.