Portato in scena da Ettore Bassi, "El Fùtbol" si muove lungo le pieghe dei valori e dei sentimenti più puri del mondo del calcio in un viaggio tra i grandi protagonisti, noti e meno noti. L'attore pugliese, in un'intervista ai nostri microfoni, ci ha lasciato entrare dietro nel cuore della vicenda
Un viaggio nella grande epopea della storia del calcio, in un tracciato lungo il primo centenario di esistenza di questo sport, attraverso alcune delle figure più significative, note e meno note. Un cammino che parte dal Sud America, dalle strade di Buenos Aires e muove fino a Rio de Janeiro, passando per il pomeriggio del Maracanazo e le vie di Montevideo, prima di approdare ai campi di periferie in cui Pier Paolo Pasolini e Bernardo Bertolucci si affrontano in una insolita partita di calcio. Il racconto, portato in scena da Ettore Bassi, con la regia di Francesco Branchetti e la musica di Gianvito Pulzone e Oscar Bellomo, penetra nello spirito più profondo del calcio, nel pieno della sua autenticità, attraverso i volti, le storie e le vicende più pure. È lì, nella vicenda umana in movimento, che compaiono le figure di James Richardson Spensley, fondatore del primo club italiano, il Genoa, Obdulio Valera, il capitano della selezione uruguaiana campione del mondo in Brasile nel 1950, Abdón Porte con il suo fatale amore per il gioco del pallone, Garrincha, Pelé, Maradona e, per l'appunto, Pasolini. Bassi incontra i loro volti e, senza sovrapporli, collega tutto attraverso un filo sottile che unisce ogni immagine alla più viva sacralità della propria dimensione, nell’esplorazione di un mondo pulito e ancestrale, lontanissimo dal giorno odierno.
Ettore Bassi, impegnato ieri sera nella tappa al Teatro Rina e Gilberto Govi di Genova, in un’intervista per Social Media Soccer, ci ha lasciato entrare nel mondo di “El Fùtbol”.
In che modo si può raccontare il calcio attraverso il teatro?
“Si può fare guardando gli aspetti teatrali del mondo del calcio, dunque tramite il romanticismo, l’epica, la ritualità e le storie umane che hanno segnato questo sport nel corso dei primissimi anni, nell’era primordiale. Si può raccontare narrando di tutta quella parte di mondo che ha fatto del calcio qualcosa di memorabile, romantico e teatrale”.
Lo spettacolo ha l’obiettivo di entrare nello spirito del calcio, ma in che modo e se questo esiste ancora?
"Il mio obiettivo è raccontare lo spirito autentico del calcio attraverso le vicende umane di personaggi noti e meno noti, e i valori universali che le loro storie incarnano. Molti di loro hanno incontrato il pallone per riscattarsi dalla fame e dalla povertà, trasformando il proprio destino in leggenda. Questa potente parabola alimenta l'epica intrinseca di questo sport. Il racconto non si limita ai campi, ma include figure come Pier Paolo Pasolini, grande amante del calcio giocato e fondatore della nazionale attori. In definitiva, entriamo nel mondo del calcio esplorando le tante storie umane lo hanno reso meraviglioso e che portano dentro un valore che oggi ci chiediamo dove sia. Io sono un calciatore degli anni ’80, essendo nato nel 1970, quando era tutto diverso e ad oggi mi capita di chiedere che fine abbia lo spirito di quel tempo”.
Ci sono alcune di queste figure citate alla quale è più legato?
“Mi sto affezionando a diversi di questi personaggi: Garrincha, ad esempio, per la sua tenerezza e per la sua figura così poetica. Così come anche Maradona per la sua iconicità, ma anche Abdón Porte, il portiere uruguaiano morto suicida perché la sua carriera stava conoscendo dei momenti bui”.
Quanto è importante l’arte per il calcio, soprattutto al tempo dei social?
“Il calcio viene vissuto in modo frenetico, istintivo, come tutto. Il teatro è lentezza, è riflessione. Questo sport nasconde dentro di sé dell’arte. Avendo giocato sono stato un grande esteta del calcio: le gesta di Platini, Cruijff, Maradona sono una forma d’arte. Le due cose possono sposarsi perfettamente.
C’è una squadra che hai seguito di più e al quale ti senti più legato?
“Sono cresciuto a Torino durante l’adolescenza, quando iniziavo a giocare a pallone, e in quegli anni c’era Platini, ed essendo, come anticipato, un esteta del calcio, non potevo non innamorarmi di lui. Avendo quei colori addosso ci sono rimasto legato, anche se oggi non sono un tifoso. Non amo il calcio odierno come viene vissuto, sono innamorato della sua parte romantica, più profonda”.