Gigi Buffon, nel bene e nel male

Si è ritirato un calciatore che è stato amato, ma anche tanto odiato. Perché il numero 1 dei numeri 1 è stato così divisivo?

Recordman di presenze in Serie A. Recordman di presenze in Nazionale. Detentore del record di imbattibilità nel nostro campionato, eroe del Mondiale vinto dall’Italia nel 2006, nonché vincitore di dieci Scudetti con la maglia della Juventus. Basterebbero questi pochi elementi a rendere Gianluigi Buffon un idolo assoluto del nostro paese, perlomeno a livello sportivo. Quello che è considerato il più grande portiere della storia di questo gioco è tanto amato quanto, per certi versi, odiato.

Lo si può evincere dai commenti che hanno accompagnato il suo addio, decisamente diverso per sapore, stile e accoglienza da quello di altri totem come Totti a Del Piero, per dirne due. Proprio sul dualismo percettivo che divide Alex e Gigi torneremo più avanti.



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Gigi Buffon, perchè così divisivo?

Ma perché Gigi Buffon è stato tanto divisivo? La risposta è complicata e necessita di articolata argomentazione. In prima battuta, verrebbe da dire che Buffon ha diviso perché ha giocato nella squadra divisiva per eccellenza, la Juventus. Anzi, più che giocarci, Buffon ha incarnato la Juventus, accompagnandola in B, rappresentandola nei momenti belli e brutti, tornandoci anche dopo il primo addio.

Buffon è una pagina della Juventus, e viceversa. Ma anche Del Piero è stato iconico e forse in misura maggiore per il club bianconero, vantando una reputation decisamente migliore dell’ormai ex portiere. Pinturicchio oggi è apprezzato, quasi venerato, anche da chi in campo lo fronteggiava aspramente. Lo stesso, obiettivamente, non si può dire di Buffon, la cui vita ha dato tanti spunti e motivi di disapprovazione, creando al portiere un numero non indifferente di haters.

Uno dei grossi scivoloni della carriera mediatica di Buffon arrivò in concomitanza di quello che è probabilmente stato il suo apice da calciatore. Nell’euforia dell’aver raggiunto il tetto del Mondo nel 2006, durante i festeggiamenti Buffon espose un cartello riportante la scritta “Fieri di essere italiani”.

Nulla di straordinariamente controverso, se non che ad accompagnare il testo fece capolino una croce celtica, notoriamente emblema di alcune fazioni di estrema destra. Questo, unito all’utilizzo a inizio carriera del numero 88 (oggi definitivamente vietato per il contrasto all’antisemitismo), ha acceso un’aspra polemica sull’orientamento politico di Buffon, che su quel cartellone si giustificò con la disattenzione, spiegando di non aver visto la croce celtica presente su esso.

Anche sulla scelta dell’88, in realtà, la spiegazione arrivò puntuale: «Mi ricorda quattro palle e in Italia sappiamo tutti il significato delle palle: forza e determinazione», senza però riuscire a placare le polemiche.



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Sempre negli anni da esordiente si presentò in diretta tv al grido di “Boia chi molla”, altro slogan di matrice fascista, chiarendo poi in seguito di non conoscerne i risvolti politici. Insomma, Gigi ha più volte peccato, se non altro di leggerezza, sul tema, compiendo delle uscite a vuoto (fuori dal campo) che facevano da contraltare a un rendimento mostruoso con i guantoni indosso.

I microfoni lo hanno messo in difficoltà anche verso il finire del suo percorso in bianconero. Abbandonati gli impeti giovanili, infatti, Buffon ha cercato di comunicare in modo più maturo e responsabile. 

È inevitabile che Gigi, nel tempo, sia cambiato. Il passaggio da Parma a Torino gli ha imposto un determinato rigore, anche e soprattutto fuori dal campo, aumentato poi dalla Nazionale e dalla fascia di capitano della Juve prima e degli azzurri poi.

La maturazione si è sublimata con uno stile diverso anche a livello comunicativo, quasi come un politico che passa dall'essere all'opposizione a divenire capo di governo. Insomma, Gigi si è placato, si è normalizzato, cercando quanto più possibile di evitare dichiarazioni e atteggiamenti borderline. E per un bel periodo c'è anche riuscito, fino a crollare nella celebre intervista post-gara della semifinale di Champions League contro il Real.

Il testamento mediatico-emotivo dell'estremo difensore di Carrara arrivò nella notte di Madrid in cui il sogno Champions League, vero grande rimpianto sportivo di Gigi, sfumò nel modo più amaro. La direzione controversa dell’arbitro Oliver che vanificò la rimonta bianconera contro il Real fece letteralmente impazzire Buffon, che si presentò ai microfoni di Mediaset decisamente poco lucido.

 

Le sue parole rimasero impresse, con quel bidone dell’immondizia al posto del cuore a incastonarsi fra le dichiarazioni più celebre rilasciate dall’ormai ex portiere.

Pancia e reputazione

Un’intervista letteralmente di pancia, che regalò definitivamente all’Italia a al Mondo la misura della genuinità di fondo di Gianluigi, che ha contraddistinto la maggior parte delle sue uscite non proprio felici. Come per esempio la battuta, nel 2020, a un tifoso cinese, appena fuori da San Siro. “C’hai il corona, eh? Ti guardo”: una battuta che fece ridere i presenti e ma divampare la polemica sui social, soprattutto in un periodo storico che poi segnò davvero l’Italia.

Insomma, Gigi è Gigi, nel bene e nel male. Impossibile da comparare per quanto riguarda il rendimento fra i pali, intrinsecamente e indissolubilmente nel cuore dei tifosi della Juventus, che lo hanno amato e continueranno a farlo. Nonostante gli svarioni extra-calcistici di cui si è reso protagonista, che forse ne hanno un po’ rovinato una reputazione che poteva essere molto, molto più luminosa, come i tanti trofei portati a casa.



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