Abbiamo fatto il punto su calcio italiano e la sostenibilità ambientale

La lotta ai cambiamenti climatici è una priorità in cima all’agenda calcio a livello globale. Ma come si stanno comportando i club in questa partita?

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Un recente report della società di consulenza Brand Finance ha collocato un paio di club italiani nella Top 10 europea per quanto riguarda l’impegno sul tema della sostenibilità (almeno quello percepito dai fan, importante sottolinearlo).

Alcune società stanno provando ad accelerare sulla questione, aderendo a protocolli internazionali e mobilitando la propria community. Altre, invece, stanno proponendo buone iniziative, confermando quantomeno una consapevolezza crescente sull’argomento.

Quello della sostenibilità ambientale è un tema che riguarda una sfida globale, motivo per cui richiede il contributo di ogni settore economico. Una questione di responsabilità, quindi, ma per la football industry anche una reale opportunità, intesa come occasione per intercettare e rispondere alle richieste dei fan, soprattutto quando si fa riferimento alle nuove generazioni.



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Un pubblico sempre più attento a queste tematiche, che si aspetta un certo attivismo da parte del proprio club del cuore, e che addirittura vede in una scarsa partecipazione quasi un freno al coinvolgimento con il gioco e le sue dinamiche.

Dunque, al netto di ranking vari e opinioni più o meno fondate sul tema, a che punto è il calcio in questo percorso? Quali sono le sfide e le opportunità?

Nello specifico, abbiamo analizzato il comportamento dei “nostri” club per rispondere a queste domande.

Il calcio può essere sostenibile?

Come step iniziale per affrontare questo itinerario all’interno del lato green del calcio, la domanda da cui partire e che fisiologicamente ci si pone è se il calcio possa davvero essere sostenibile.

Spesso territorio fertile per il qualunquismo, è estremamente facile puntare il dito contro questo sport per diverse ragioni, definendolo una disciplina ormai distante dai fan e dalle tematiche più attuali.  Al management del calcio viene imputata la colpa di non farsi portatore, nonostante il proprio impatto macroscopico sulla società, di una condotta tale da fungere da modello a sostegno di moralità e principi cardine.

Stipendi da capogiro e centinaia di milioni spesi per acquistare giocatori in sede di mercato portano spesso ad omologare il calcio come un settore da bandiera nera, viziato e privilegiato. Distante dai problemi del mondo e della gente, incapace di concepirne le necessità. Tra queste anche la questione ambientale, al punto da chiedersi se il movimento se ne interessi sotto un’ottica sociale o se veda in essa solo un’opportunità.

Al momento le risposte fornite da federazioni e istituzioni sono, a dirla tutta, piuttosto contrastanti. Se nell’alveo del calcio internazionale spiccano infatti modelli come quello del Forest Green Rovers del presidente ex hippie Dale Vince di cui abbiamo parlato qui, la prima squadra interamente focalizzata sul tema e capace di dedicarvi la propria identità con una serie di politiche tali da generare risvolti palpabili sia a livello locale che globale, dall’altro lato il movimento pare assumere direzioni opposte e contrastanti.

Come primo aspetto, per esempio, uno dei vessilli del calcio moderno è il volersi aprire al mondo, dando ancor più respiro allo sport, e perseguendo interessi economici e di visibilità su larga scala geografica. Volontà anche condivisibili e per certi versi corrette, ma anche molto poco sostenibili. Ogni spostamento logistico in occasione di tournée come quella affrontata di recente dal PSG in Qatar e Arabia Saudita per regalare ai fan l’amichevole di lusso tra Messi e CR7 o, volendo rimanere in Serie A, la Supercoppa Italiana tra Inter e Milan a Riyadh, comportano infatti una soglia d’inquinamento che il tifoso, probabilmente, neanche immagina.

Questa inclusività vestita da marketing, infatti, comporta necessariamente reiterati viaggi in aereo per giocatori, dirigenti, magazzinieri e tutta l’équipe di addetti ai lavori coinvolti nel dislocamento all’estero, seppur momentaneo, della squadra. Iniziative sicuramente remunerative, ma totalmente insostenibili, specie se si considera che il “Derby della Madonnina” avrebbe avuto nella propria cornice originale una soluzione a Km 0.

Scelte che fungono solo da esempio diretto e piuttosto semplice e che probabilmente sono necessarie per un movimento, quello italiano, costretto ad elaborare gli stratagemmi più disparati per sopravvivere economicamente, e che dimostrano inoltre come l’ambiente (alla pari del sociale) sia sempre un aspetto sacrificabile.

Nel nostro Paese, infatti, la stragrande maggioranza degli impianti è strutturalmente anacronistica e come tale distante dalle moderne tecnologie aventi nel green il proprio focus principale. Inoltre, come dimostrato da uno studio sul tema targato Community Soccer Report, a questa carenza si associa un’oggettiva incapacità di strutturare il proprio intervento a tutela dell’ambiente in maniera chiara e specifica, idealmente basato su dati oggettivi, regolato da linee guida dedicate e comunicato chiaramente all'esterno.

Il tutto ci rende clamorosamente indietro rispetto, ad esempio, all’Inghilterra (vedere per credere  cos’è successo un paio di weekend fa), dove l’approccio al tema è diffuso praticamente lungo tutta la piramide. Al vertice ci sono realtà virtuose come Tottenham e Liverpool, piazzatisi primi nell’ultima classifica sulla sostenibilità ambientale compilata dalla piattaforma Sport Positive. E ancora l’Arsenal (soprattutto grazie alle soluzioni in sede allo stadio Emirates), il Southampton (per approfondire: The Halo Effect), e persino Norwich e Wolverhampton, in una lista assolutamente non esaustiva. 

Non solo la Premier League, perché i riferimenti a cui ispirarsi iniziano ad abbondare, toccando ogni angolo del continente. In Bundesliga il livello è altissimo, con esempi di assoluto interesse che rispondono al nome di FC Köln, FC Augsburg, TSG Hoffenheim e ovviamente VfL Wolfsburg.



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La Ligue 1 sta provando a colmare il gap, con interessanti novità in serbo per le prossime stagioni, e realtà già ben consolidate come Olympique Lyonnaise o St. Etienne. E ancora il Benfica in Portogallo che si dedica al tema attraverso la propria fondazione, la Royale Union in Belgio, oppure il Bodo Glimt in Norvegia.  

Il modello italiano di sostenibilità dell’Udinese

È dunque utopia, per il movimento italiano, pensare di raggiungere il livello dei club appena elencati?

Assolutamente no. Piuttosto è questione di mindset, nonché della capacità di abbracciare queste tematiche e renderle prioritarie a livello societario. Che è un po’ quello che da tempo sta provando a fare l’Udinese. Guidati dalla famiglia Pozzo, i friulani rappresentano infatti un modello di business e di avanguardismo, focalizzando le proprie attività strategiche su una forbice che va da una marcata vision digitale e innovativa, ad una costante attenzione per l’ambiente.

Nonostante una fanbase quasi completamente locale, le Zebrette hanno dato vita a collaborazioni con piattaforme in forte escalation come Socios.com, hanno organizzato una propria squadra nel settore eSport, hanno aperto account su TikTok e Weibo e, soprattutto, figurano tra le poche società del nostro Paese a vantare uno stadio di proprietà.

La Dacia Arena, poi, come si è discusso in più occasioni al Social Football Summit di Roma, rappresenta un punto focale per l’intera organizzazione bianconera, al centro di una partnership tra club e Bluenergy group, azienda proveniente proprio da Udine, avente come finalità quella di alzare l’asticella della tutela e della prevenzione, facendo dello stadio un esempio di attenzione sostenibile.

Grazie al sodalizio, infatti, l’impianto è tra i primi stadi d'Italia a impatto zero per quanto riguarda elettricità e metano, alimentandosi con gas naturale e con forniture di energia elettrica green, provenendo quest’ultima da fonti 100% rinnovabili.

Le forniture di gas per mano di Bluenergy risultano essere infatti “Co2 free” grazie ad un progetto attivato e applicato in concomitanza con Carbonsink, società focalizzata sulla mitigazione dei cambiamenti climatici, attraverso un meccanismo dei crediti di carbonio tale da compensare anche tutte quelle emissioni al momento inevitabili.

I percorsi green di Juventus e Roma

Fortunatamente, il caso dei friulani è tutt’altro che isolato. Anzi, gli esempi che stiamo per riportare sono più o meno sullo stesso livello (se non addirittura oltre per certi aspetti).

La Juventus è l’unico tra i club dell’attuale massima serie italiana a vantare il “pacchetto completo”, come certificato anche da un documento recentemente rilasciato dai bianconeri: informazioni sulla carbon footprint della passata stagione, figure professionali dedicate, certificazioni specifiche, azioni di riduzione e compensazione delle emissioni, momenti educativi, ma anche obiettivi chiave già individuati per il prossimo futuro.

Si tratta ovviamente del risultato di un percorso lungo e da sempre ben strutturato, iniziato quasi dieci anni fa, ma comunque alla ricerca di continuo vigore. Le ultime novità tra cui la collaborazione con Pact Capital in progetti di compensazione delle proprie emissioni ne sono una conferma.

Chi altro sta provando concretamente ad emulare il caso virtuoso della “Vecchia Signora” è la Roma. La recente firma avvenuta allo Sport for Climate Action Framework (terza aderente tra i massimi club italiani dopo Udinese e Juve) è una dichiarazione d’intenti circa la volontà dei giallorossi di fare sul serio e formalizzare la propria scesa in campo a tutela dell’ambiente.

L’adesione al protocollo delle Nazioni Unite servirà sicuramente a strutturare in maniera specifica questo percorso green, andando a collocare le iniziative già esistenti in uno schema definito. Sì, perché l’impegno in questo senso del club è già abbondantemente avviato, con diverse azioni messe a referto: terreni da gioco fatti di materiali organico riciclato, riduzione dei consumi idrici, efficientamento energetico in tutte le sedi, installazione di punti di ricarica per veicoli elettrici, raccolta e riutilizzo dell’acqua piovana, protezione della biodiversità grazie alla collaborazione con le istituzioni locali, ma anche inserimento nel tema nelle attività educative nelle scuole.

Il resto della Serie A

Questi 3 esempi sono indicazioni, dei percorsi da seguire anche per altri club del nostro calcio. Sulla buona strada ci sono già Bologna e Sassuolo. I primi sono una realtà virtuosa che si sta iscrivendo in maniera sempre più concreta anche a questa partita (il sociale va veloce da tempo) con azioni che toccano riciclo, mobilità green, lotta alla plastica monouso e utilizzo di energia rinnovabile. Per i neroverdi il discorso è abbastanza simile, con qualche intervento in aree chiave come raccontato qui da Roberto Carnevali, e il Mapei Center quale fiore all'occhiello in questo senso.

Nel mezzo ci sono tante iniziative, più o meno isolate, a cui servirebbe solo dare maggiore prospettiva, intenzionalità e direzione.

In molti, ad esempio, stanno collaborando con gli sponsor tecnici per realizzare divise fatte quasi interamente in materiale riciclato: i già citati Udinese e Bologna, ma anche Sassuolo, Inter e Lazio, in una lista assolutamente non esaustiva. Sempre in tema di divise, interessante l’impegno preso dallo Spezia Calcio per la salvaguardia del Parco Nazionale delle Cinque Terre, “portato addosso” e sostenuto grazie a campagne di sensibilizzazione e raccolta fondi. E ancora, c’è la soluzione dell’Atalanta per la mobilità dei tifosi (la causa di maggior inquinamento legata agli eventi sportivi), incentivati all’uso del traporto pubblico in occasione del matchday grazie alla gratuità di alcuni mezzi di trasporto della rete comunale per i possessori del biglietto della gara.

La situazione nelle serie "minori"

È importante comunque sottolineare che quello per l’ambiente non deve essere solamente un impegno perseguito dai club di A, solo teoricamente più attrezzati e quindi nella posizione (sempre teorica) di avere un maggior impatto. Ognuno, a qualsiasi livello e nel rispetto delle proprie risorse, può fare la propria parte.

Questo messaggio è validissimo, ad esempio, per la Serie B.

Una massima serie “camuffata” non solo per il prestigio delle piazze iscritte al campionato in corso, ma soprattutto per il legame e il contatto diretto che alcune piazze hanno con i propri tifosi. Il lavoro che alcuni club stanno portando concretamente avanti a favore dell’ambiente è davvero incoraggiante, dando ancora più valore a quanto accennato sulle reali possibilità di tutto il movimento di fare la differenza.

Il Cagliari è forse l’esponente principale di questa visione. Il manifesto di responsabilità sociale dei sardi, ‘Be As One’, è qualcosa di apprezzato in patria e non solo, rientrando peraltro in quel discorso precedente legato alla necessità di inquadrare il proprio impegno entro paletti specifici. Una delle aree di intervento di questo manifesto (nello specifico "Move") è dedicata proprio alla sostenibilità ambientale, arricchendosi regolarmente di nuovi capitoli. L’ultimo in ordine di tempo la campagna legata alla micromobilità che incoraggia i tifosi a recarsi allo stadio in bici o mezzi simili (potendoli poi lasciare in uno spazio apposito che il club ha creato).

Chi sta provando a guadagnare terreno sembra essere il Parma, revitalizzato dalla "cura Krause". Oltre alle numerose iniziative di stampo sociale, quelle a tema ambiente iniziano ad arricchire sempre più frequentemente il portfolio gialloblù. Interessante il piano d'interventi legato al centro sportivo, dove riciclo, lotta alla plastica monouso, oppure riduzione dei consumi idrici sono già realtà. Ma è anche sulle sinergie con partner locali come BWT e Gas Sales e campagne di comunicazione sul tema che il club crociato sta impostando il proprio percorso. Durante la Earth Week, ad esempio, i logo sui profili social del club emiliano è stato colorato di verde.

Spostandosi di un centinaio di chilometri troviamo, tra i club più in forma dell'ultimo periodo dal punto di vista della responsabilità sociale, la SPAL. Coordinato dalla Social Responsibility & Charity Manager Martina Vanzetto, una totalmente figura dedicata (fatto raro per il nostro calcio), il club sta cercando di portare avanti diverse iniziative anche a tema ambiente, come quella insieme alla onlus Plastic Free che ha coinvolto anche i giovani di alcune scuole locali.



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Non è finita qui. Si può infatti proseguire con le iniziative in ottica mobilità green, energia pulita e riduzione dei rifiuti del Como, club che ha scelto di non cambiare il modello dei kit di gara per 2 anni. E ancora, dell’impegno per la tutela del territorio del Venezia, oppure – scendendo di una categoria - di quello in prospettiva della Reggiana, con gli emiliani che stanno lavorando per l’ottenimento di un’importante certificazione a tema responsabilità sociale.

Il mondo del calcio inizia quindi a maturare una sensibilità maggiore verso le attività di responsabilità sociale e sostenibilità, pur facendosi pesare sul groppone alcuni pregiudizi provenienti dal mondo esterno, e la mentalità di una parte del management ancora arenata al passato, quando si era meno consapevoli dell’impatto che può avere l’azione dei singoli e dei collettivi come i club di calcio.

Articolo a cura della redazione di Social Media Soccer e Community Soccer Report 



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