"Le mani, libere, si sono allacciate in una stretta d’amicizia. Il Natale aveva trasformato in amici li acerrimi nemici", il gesto spontaneo sul fronte belga, a Ypres, ricorda al mondo le mille contraddizioni e le banalità che la guerra porta con sé
La naturalezza con cui in modo bulimico il terreno continuava a sputare e ingurgitare corpi aveva posto nella coscienza di tutti la consapevolezza di una consuetudine tirannica, in cui la precarietà della vita del singolo si inseriva nella strenua battaglia alla quotidianità più effimera. Avere vent’anni o quaranta contava ben poco, ognuno aveva lasciato dietro di sé un pezzo di qualcosa di lontano, irraggiungibile. La sola forza era data dall’attaccamento morboso al fango, ai topi, all’odore di morte respirato costantemente, ad un luogo fatto di miseria, dove tutto era livellato, in cui le classi sociali si abbassavano ad un unico stadio, dove la sopravvivenza faceva a pugni con la fame, con la sete, con la voglia di scappare, di tornare a rincorrere la neve, le strade di casa e luoghi differenti.
In mezzo al fango più ruvido, alle facce scavate e alle mancanze che solo un giorno di festa più portare alla luce, Natale divenne l’unico giorno in cui i fucili riuscirono a spegnersi senza riempire l’aria di sangue. Dal freddo dell’inverno belga, negli scavi più profondi delle trincee, alcuni dei ragazzi decisero di interrompere il conflitto con un pallone. In un calcio che cominciava lentamente ad insinuarsi nelle pieghe del mondo la terra di mezzo di Ypres divenne lo stadio più bello del mondo per qualche ora. Alla luce del nuovo giorno, la gelata aveva trascinato con la notte il pungente odore dei cadaveri in putrefazione, ripulendo lo spazio dalle scorie delle brutalità belliche. L’indurirsi del terreno fu solo lo spiraglio di luce per un confronto senza armi. Il mondo, per un po’, divenne un pallone fatto di stracci. Al centro, con le mani alzate, alcuni ragazzi si diressero verso il centro della linea di confine, cercando l’abbraccio della controparte nemica, la stessa che solitamente imbracciava il fucile per sparare contro. Nell’incredulità collettiva, il momento della notte di Natale del 1914 divenne un momento di fraternizzazione e condivisione inatteso, culminato con una partita di calcio vinta dai tedeschi per 3-2 contro i britannici. Al ritorno sotto lo spazio di guerra, la tregua si dissolse come neve, riposizionando i fari sulle vicende di una guerra sanguinaria, entrando per sempre nella storia dell'umanità.
L'ordine perentorio dei superiori, riposizionò gli schieramenti nelle rispettive trincee. Come scrisse il capitano inglese James Dann: "Alle 8.30 sparai tre colpi in aria e issai una bandiera con la scritta "Buon Natale", mi sporsi dal parapetto per controllare la situazione. Un capitano tedesco apparve con un cartello con scritto "Grazie anche a voi". Ci salutammo con un inchino e tornammo giù ognuno nella propria trincea. L’ufficiale tedesco sparò due colpi in aria. La guerra era di nuovo cominciata". Il tutto tornò alla normalità della trincea, alla violenza, mentre il mondo cominciava lentamente a conoscere la storia di quella che sarebbe diventata La tregua di Natale.
La notizia fu inizialmente bloccata. Il primo giornale a parlarne fu il New York Times - con gli Stati Uniti ancora neutrali in quella fase della guerra (sarebbero entrati soltanto tre anni dopo, nel 1917 - con un articolo del 31 dicembre 1914. In Gran Bretagna si diffuse soltanto pochi giorni dopo, l'8 gennaio 1915, quando il Daily Mirror e Daily Sketch pubblicarono le prime foto dell'evento, ritenuto “una delle più grandi sorprese di una guerra sorprendente”, con l'approvazione collettiva dell'opinione pubblica, nettamente a favore dell'accaduto.
Sul Newcastle Daily Journal del 4 gennaio 1915 si legge:
Che straordinario effetto ha sul mondo il Natale! Pace e buona volontà tra li uomini, si può capire in tempo di pace, ma tra uomini che per cinque mesi non hanno fatto altro che spararsi e uccidersi è una cosa incredibile. Se non avessi visto con i miei occhi l’effetto del Natale su queste due linee di trincee, non ci avrei mai creduto. I cecchini tedeschi ieri non hanno mai smesso di sparare, per tutto il giorno. E di solito è così Il fatto è che quando è scesa la notte tutto è cessato. I tedeschi cantavano e ridavano, e noi cantavamo e ridavamo. Ci urlavamo «Buon Natale!» da una parte all’altra. Hanno acceso grandi fuochi lungo tutta la linea, e potevamo vederci chiaramente. Solo poche ore prima dovevamo stare ben attenti a tenere la testa bassa, al di sotto dei parapetti, e adesso ci stavamo seduti sopra, lanciando sigarette e tabacco ai nostri nemici, che passeggiavano sul campo. In alcune zone stavamo a sole 100 iarde da loro, e abbiamo parlato per tutta la notte. Hanno anche proposto di giocare a pallone. Al mio ritorno ti parlerò ancora dell’incredibile trasformazione che è avvenuta all’alba del giorno di Natale i non è stato sparato un colpo, e la brina è ancora intonsa sul terreno ghiacciato. Un bel cambiamento, dopo la pioggia.
Diversamente, in Germania la notizia fu accolta in modo totalmente differente: si espressero pareri negativi e non furono pubblicate foto. La malumore sull'accaduto fu raccolto con sdegno anche da quello che da lì a qualche tempo più tardi sarebbe diventato il Führer, Adolf Hitler, il quale, all'interno del suo Main Kampf, pubblicato nel 1925, si chiese, in merito al fatto, dove fosse finito l'onore dei tedeschi.
Le lettere inviate alle famiglie dai soldati protagonisti, riportate ne “La tregua di Natale. Lettere dal Fronte”, edito da Lindau, raccontano tutta la spontaneità e la naturalezza del gesto; molte di queste furono pubblicate dai diversi giornali britannici come testimonianza di quanto avvenuto in Belgio, tra la sorpresa collettiva all'interno della nazione. Infatti, il soldato Frederick W. Heath, in una lettera pubblicata dal North Mail del 9 gennaio, racconta: “Mentre osservavo il campo ancora sonante, i miei occhi hanno colto un bagliore nell’oscurità A quell’ora della notte una luce nella trincea nemica è una cosa così rara che ho passato la voce Non avevo ancora finito che lungo tutta la linea tedesca è sbocciata una luce dopo l’altra Subito dopo, vicino alle nostre buche, così vicino da farmi stringere forte il fucile, ho sentito una voce Non si poteva confondere quell’accento, con il suo timbro roco Ho teso le orecchie, rimanendo in ascolto, ed ecco arrivare lungo tutta la nostra linea un saluto mai sentito in questa guerra: «Soldato in lese, soldato in lese, buon Natale! Buon Natale!». Dopo li auguri quelle voci profonde sono esplose in un invito: «Venite fuori, soldati in lesi, venite qui da noi!» Per un po’ siamo rimasti diffidenti, senza neanche rispondere. Gli ufficiali, temendo un agguato, hanno ordinato a li uomini di restare in silenzio Ma ormai su e giù per la linea si udivano i soldati rispondere a li auguri del nemico. Come potevamo resistere dall’augurarci buon Natale, anche se subito dopo ci saremmo di nuovo saltati alla gola? Così è cominciato un fitto dialogo con i tedeschi, le mani sempre pronte sui fucili. Sangue e pace, odio e fratellanza: il più strano paradosso della guerra. La notte si vestiva d’alba – una notte allietata dai canti dei tedeschi, dal cinguettio de li ottavini e risate e canti di Natale dalle nostre linee. Non è stato sparato un colpo, eccetto giù alla nostra destra, dov’era al lavoro l’artiglieria francese. L’alba è arrivata a tingere il cielo di grigio e di rosa Alle prime luci abbiamo visto i nostri nemici va are senza sosta sul ciglio delle loro trincee Questo, invero, era il coraggio; non cercare la protezione del rifugio ma offrirci a testa alta l’occasione di far fuoco, certi di non mancare il bersaglio. Abbiamo fatto fuoco? No di certo! Ci siamo alzati in piedi ridando benedizioni a quei tedeschi. Poi ecco la proposta di uscire dalle trincee per incontrarsi a mezza via. Ancora circospetti, ci tenevamo a distanza. Loro no. Correvano avanti in piccoli ruppi, con le mani alzate sopra la testa, e ci chiedevano di fare lo stesso Non si poteva resistere per molto a un tale appello – e poi, il cora io non era forse stato dimostrato da una sola parte fino a quel momento? Saltando sul parapetto, alcuni di noi hanno avanzato per incrociare i tedeschi. Le mani, libere, si sono allacciate in una stretta d’amicizia. Il Natale aveva trasformato in amici li acerrimi nemici".
Un'altra parentesi interessante è data dalla narrazione offerta in un'intervista dal sergente maggiore Frank Naden, rientrato a casa a Stockport per una licenza di una settimana, in cui narra:
“Durante il giorno della vigilia per ogni cannonata che partiva dalle linee tedesche i nostri uomini ridavano: «Hurrà!» e «Un’altra!» Hanno anche cantato Christians Awake! e altri inni cristiani Il giorno di Natale uno dei tedeschi è uscito dalle trincee con le mani alzate. Allora i nostri ragazzi sono schizzati fuori dalle linee e i tedeschi dalle loro, e ci siamo incontrati nel mezzo, e per il resto della giornata abbiamo fatto amicizia e scambiato cibo, sigarette e piccoli oggetti. I tedeschi ci hanno re alato alcune delle loro salsicce, e noi li abbiamo dato un po’ della nostra roba. Gli scozzesi hanno fatto partire le cornamuse, e abbiamo fatto un po’ di sana vecchia baldoria, che comprendeva anche una partitella a calcio, alla quale hanno partecipato pure i tedeschi. I tedeschi hanno detto di essere stanchi della guerra, e che non vorrebbero altro che finisse. Erano entusiasti del nostro equipaggiamento, e volevano scambiare coltelli e altre cose. Il giorno dopo è arrivato l’ordine di interrompere tutte le comunicazioni e le fraternizzazioni con il nemico, ma noi non abbiamo sparato per tutto il giorno, e i tedeschi non hanno sparato a noi”.
In conclusione, una lettera anonima di un soldato inglese, mostra tutta la sorpresa e la gioia per un attimo di normalità, inatteso, vissuto a fraternizzare con i nemici tedeschi:
"Non mi sarei mai aspettato di stringere la mano ai tedeschi tra le trincee il giorno di Natale, e penso che non te lo saresti mai immaginato neanche tu Così il Natale in qualche modo ce lo siamo goduto".
L'episodio di Ypes, il cui racconto si protrae da oltre un secolo, è diventata un simbolo di pace, di fraternizzazione, nella memoria collettiva e nella cultura di massa. La vicenda ha ispirato ampiamente l'aspetto artistico in ogni sua forma, riportando a galla l'accaduto nelle più disparate fattezze. Infatti, tra le rappresentazioni più importanti c'è il film Joyeux Noël - Una verità dimenticata dalla storia con regia di Christian Carion, del 2005. Per il teatro passiamo a Silent Night, l’opera in due atti di Kevin Puts del 2012 – basata sempre sul racconto cinematografico di 7 anni prima - vincitore del Premio Pulitzer per la musica. Diverse anche le rivisitazioni in ambito musicale, con il videoclip ispirato alla vicende del fronte belga nel brano Pipes of Peace (1983) tratto dall’omonimo album di Paul McCartney o, in Italia, di Sono più sereno (2003) de Le Vibrazioni.