E se Lukaku chiudesse i suoi canali social?

In un'intervista a CNN il centravanti belga del Chelsea ha esortato i Governi e i CEO delle varie piattaforme social a creare un tavolo con i calciatori per discutere della problematica degli insulti razzisti.

Calcio e razzismo, un binomio che non riesce a debellarsi. Nonostante le tante iniziative per combattere questo brutto fenomeno nello sport più amato al mondo, non si riesce a venire a capo di un problema che continua a presentarsi dentro e fuori dal campo da gioco.

Sono troppi e sempre di più, purtroppo, i personaggi presi di mira da insulti a sfondo razziale che provengono dagli spalti degli stadi ma soprattutto online sulle varie piattaforme di social media, e questo tema negli ultimi anni è diventato sempre più sensibile per molti protagonisti, che si sono fatti avanti in prima persona per cercare di affrontare concretamente questi episodi.

Uno dei più attivi da sempre nella lotta contro il razzismo nel calcio è il calciatore belga Romelu Lukaku. L'ex centravanti dell'Inter, attualmente in forza al Chelsea, nelle ultime ore è tornato a trattare l'argomento in una lunga intervista per il canale televisivo sportivo di CNN, al termine del concorso fotografico "No To Hate", organizzato dal club londinese per esaltare il valore della diversità all'interno della comunità Blues.

Tra le sue parole spicca sicuramente la sollecitazione per una richiesta di incontro con i Governi e i massimi esponenti delle varie piattaforme social per creare un tavolo insieme ai calciatori e discutere su un tema così importante:

"Devo combattere. Perché non sto combattendo solo per me stesso. Sto combattendo per mio figlio, per i miei futuri figli, per mio fratello, per tutti gli altri giocatori e i loro figli, per tutti. I capitani di ogni squadra e quattro o cinque giocatori, come le grandi personalità di ogni squadra, dovrebbero avere un incontro con i CEO di Instagram, i governi e la FA e la PFA, e dovremmo semplicemente sederci attorno al tavolo e avere un grande incontro al riguardo. Penso che solo noi tutti insieme e solo con un grande incontro o una conferenza per parlare di cose che devono essere affrontate per proteggere i giocatori, ma anche per proteggere i fan e i giocatori più giovani che vogliono diventare calciatori professionisti possiamo provare a risolvere il problema" ha dichiarato Lukaku.

"Alla fine della giornata, il calcio dovrebbe essere un gioco divertente. Non puoi uccidere il gioco con la discriminazione. Questo non dovrebbe mai accadere. Il calcio è gioia, è felicità e non dovrebbe essere un luogo in cui ti senti insicuro a causa dell'opinione di alcune persone non istruite. Se vuoi fermare qualcosa, puoi davvero farlo. Noi come giocatori, possiamo dire: 'Sì, possiamo boicottare i social media', ma penso che siano quelle società che devono venire a parlare con le squadre, o con i governi, o con i giocatori stessi e trovare un modo per per fermare tutto questo perché penso davvero che possano farlo. Inginocchiarsi alle partite va bene e tutti applaudono, ma poi dopo il match, spesso ti ricapita di ricevere insulti e quindi penso che possiamo e dobbiamo prendere posizioni più forti" ha aggiunto.

Sono molti gli esempi nel recente passato di episodi negativi di razzismo che hanno portato a delle prese di posizione molto importanti da parte dei diretti interessati o delle forze dell'ordine. Qualche tempo fa vi avevamo parlato della scelta di Thierry Henry di sospendere i propri canali social per protesta contro le discriminazioni e il bullismo online nella speranza che anche altri potessero farlo sentendosi allo stesso modo. E se la stessa scelta venisse fatta anche da Lukaku o da tutti gli altri campioni presi di mira?

Durante EURO 2020, i calciatori Marcus Rashford, Bukayo Saka e Jadon Sancho sono stati offesi in maniera grave per aver sbagliato i calci di rigore nella finale contro l'Italia e tutto ciò ha comportato 4 arresti e l'intervento da parte del governo inglese di provvedere a bandire l'ingresso allo stadio a coloro i quali commettono azioni simili sia online che offline.

Nella partita di qualificazione mondiale tra Ungheria e Inghilterra, giocata a Budapest il 2 settembre, alcuni giocatori inglesi, tra cui Raheem Sterling e Jude Bellingham sono stati presi di mira con ululati e cori razzisti, oltre che con lanci di oggetti e fuochi d'artificio, che sono costati un'ingente multa e lo stadio a porte chiuse alla Federazione Ungherese.

E poi ancora Antonio Rudiger, Kalidou Koulibaly, Franck Kessie, Tièmouè Bakayoko, Mario Balotelli, l'ultimo caso di Mike Maignain in Juventus-Milan, sono solo alcuni dei protagonisti dei brutti episodi che si sono verificati durante le partite di calcio o sulle piattafome social e che purtroppo sono sempre più frequenti.

Tra l'altro sui social media non vi sono solo fenomeni di razzismo, ma si sta spopolando la mania degli insulti gratuiti e l'istigazione all'odio per il ruolo dei calciatori: viene messa in discussione la loro vita privata e le famiglie, minacce di morte e brutti messaggi solo per il loro rendimento in campo, per il fantacalcio o addirittura per quello che alcuni utenti credono semplice divertimento. 

L'ambiente è sempre più saturo e insofferente a questa brutta tematica e si cercheranno provvedimenti sempre più severi al riguardo visto che il fenomeno è vivo più che mai e le pene già in vigore non bastano.

Il calcio deve essere solo ed esclusivamente uno spettacolo e un divertimento per tutti.

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