Kaoru Mitoma, il maestro dei dribbling dall’università al campo

Il giocatore giapponese in forza al Brighton è riuscito ad unire la teoria alla pratica, diventando uno dei migliori dribblatori della Premier League, dopo aver dedicato la propria tesi di laurea a questa specifica giocata individuale.

Il Giappone è da sempre una nazione capace di suscitare un fascino particolare, complici soprattutto la storia, la civiltà e la saggezza del popolo nipponico.

Un contesto culturale atipico, sorprendentemente distante dalla mentalità occidentale, capace di regalare i cosiddetti Kotozawa, i proverbi, famosi per essere molto brevi e dritti al punto, in un mix di sapienza e semplicità.

Uno di questi recita Sonae areba urei nashi”, ovvero “Se sei preparato bene, non c’è niente da temere”.

Indicazione che Kaoru Mitoma, ala sinistra militante nel Brighton e nella Nazionale Giapponese, sembra aver preso davvero alla lettera.

Il giocatore classe ’97, infatti, è diventato famoso non solo per essere stato uno dei protagonisti del (sensazionale) percorso dei Samurai Blu durante il Mondiale in Qatar, ma anche per essersi laureato grazie ad una tesi sul dribbling.

Scelta accademica che, oltre ad essere particolare per l’argomento trattato, ha anche dell’incredibile considerando come gli studi intrapresi dall’atleta abbiano permesso a Mitoma di essere oggi il quarto miglior dribblatore della Premier League grazie ad una percentuale realizzativa del 59,3% secondo il sito Fotmob, dietro solamente ad Allan Saint-Maximin, Said Benrahma e Samuel Edozie.

Guardando dall’alto verso il basso fenomeni molto più accreditati come, tra gli altri, Joao Cancelo, Gabriel Jesus e Marcus Rashford.

La tesi di Mitoma

La vicenda legata all’attaccante in forza ai Seagulls allenati dall’italiano Roberto De Zerbi è davvero particolare sotto ogni punto di vista.

A partire dal fatto che non serve essere laureati per rendersi conto di come l’argomento scelto per realizzare la tesi sia totalmente inusuale, specie se si considera come il dribbling sia, forse, una delle giocate calcistiche più figlie dell’estro e del talento individuale che della teoria.

Rappresenta da sempre il quid in più del numero 10, il tocco magico capace di scardinare il tatticismo, niente di più distante, quindi, dallo studio e da qualsivoglia analisi scientifica.

Visione che, tuttavia, non sembra per nulla combaciare con quella di Mitoma, un atleta sui generis per definizione, tra i pochissimi a voler procrastinare l’approdo nel calcio professionistico per prima terminare gli studi.

All’età di 18 anni rifiuta, infatti, un contratto con i Kawasaki Frontale, non reputandosi ancora all’altezza e volendo completare il percorso intrapreso all’Università di Tsukuba che gli permette oggi di godere di così tanta fama internazionale, essendo culminato proprio nella stesura della tesi di laurea.

Un elaborato realizzato grazie ad un lavoro embrionale molto accurato e avente come passaggi essenziali la realizzazione di video in diretta per catturare ogni singolo movimento corporeo durante le proprie giocate palle al piede e le scelte difensive degli avversari.

Il tutto impreziosito dalla collaborazione anche con altri protagonisti del panorama sportivo del Sol Levante come, ad esempio, l’atleta olimpico 110 metri ostacoli Satoru Tanigawa, per apprendere al meglio come gestire la velocità su un campo da calcio.

Decisioni descritte così direttamente da Mitoma in un’intervista a The Athletic: "È stata la materia più facile da scegliere per me, perché amo il calcio e il dribbling è ciò che mi piace fare. Non c'erano regole su quanto scrivere, ma sono andato avanti analizzando i miei compagni di squadra che erano bravi e meno bravi a dribblare e cercando di capire perché.

Ho messo delle telecamere sulla testa dei miei compagni di squadra per studiare dove e cosa guardavano e come li guardavano gli avversari.

Ho capito che i giocatori più bravi non guardavano la palla. Guardavano avanti, intrappolavano la sfera senza guardare i loro piedi. Questa era la differenza”



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Un approccio estremamente oculato e scientifico per migliorare in uno sport che col passare degli anni sta scoprendo sempre di più il fianco alla raccolta e all’analisi dei dati.

Dal modello Midtjylland tarato sull’analisi statistiche di Rasmus Ankersen, a questa nuova versione del giocatore 2.0, laureato, competente e capace di unire teoria e pratica.



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