I parenti della Conference League

Nell’ultimo ventennio il palcoscenico calcistico si è arricchito di nuove competizioni, dalla Conference League, fino a Mondiale per club e Nations League, spostando l’opinione pubblica sul numero eccessivo di partite e tornei rispetto al passato. Ma siamo sicuri che sia così?

“Quando riposeremo? Mai, noi giocatori non siamo robot, ci facciamo male sempre più spesso e non riposiamo mai. Non possiamo gestire questi ritmi così elevati senza un minimo di riposo. Il senso di questa finale nessuno lo sa.”

Questa frase di Thibaut Courtois, pronunciata al termine della partita tra Belgio e Italia valevole per il 3° posto della scorsa Nations League, aveva sollevato un vero e proprio caso mediatico, innescando una polemica capace di catalizzare l’opinione pubblica anche a più di un anno di distanza.

Ovvero quella riguardante l’eccessivo numero di partite e competizioni, per un calcio alla costante ricerca di evolversi e di arricchirsi, sia economicamente, che nel format.  

Dal 2000, infatti, abbiamo assistito alla nascita di un alto numero di tornei: Mondiale per club, Nations League e Conference League. Coppe internazionali e culla di un aumento delle entrate nelle casse della football industy. O meglio, delle sue istituzioni. FIFA e UEFA sono state infatti le reali vincitrici di queste iniziative, considerando come da tutto derivino introiti da broadcasting, match day e sponsorizzazioni.



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Sullo sfondo, inoltre, una Champions League ancor più pregna di partite ed una FIFA Club World Cup a 32 squadre a partire dal 2025. Senza ovviamente dimenticare la Coppa del Mondo qatariota dall’insolito volto autunnale e causa di una preparazione, forse eccessiva, degli atleti.

Ora, alla luce delle continue voci sulla presunta necessità di una Superlega europea per raggiungere una sostenibilità economica del gioco, la considerazione elaborata dai più è che tutto sia sempre e solo dettato dal denaro con decisioni che voltano le spalle al passato, segnando un abbandono al calcio inteso come sport e passione, per abbracciarne invece i nuovi connotati industriali.

Ma siamo davvero sicuri che questa nostalgia sia del tutto veritiera? Siamo certi del fatto che in passato davvero si giocasse così tanto di meno e con più moralità?

Le risposte a queste domande, a dire il vero, conducono in una direzione opposta. Prima dell’avvento del tanto demonizzato “calcio moderno”, infatti, la situazione era pressoché la stessa, o addirittura forse anche peggiore.

Perché le competizioni, ora in gran numero soppresse, erano altrettanto numerose. Se oggi ci si sorprende nell’assistere alla Conference League e alla partecipazione di realtà come AEK Larnaca e Qarabag, ieri la “coppetta” era rappresentata dalla Coppa Mitropa, vantando come squadra più vincente gli ungheresi del Vasas.

Senza dimenticare che dal 1995 al 1999, in Europa, si disputassero contemporaneamente Champions League, Coppa UEFA (ora Europa League), Coppa delle Coppe e Intertoto.

Non si tratta quindi di aggiunte di tornei, ma di sostituzioni. Per un cambiamento nella loro organizzazione ad incastro a livello di calendario, ma non di mentalità ed impegno.

Le coppe che non esistono più

Il discorso sull’eccessivo impegno richiesto ai giocatori è delicato e, come tale, va analizzato attraverso una duplice prospettiva. Il fatto che le partite siano troppe e ravvicinate è un dato chiaro quanto allarmante quindi, come tale, innegabile.

Secondo uno studio condotto dalla FIFPro, il sindacato internazionale dei calciatori, infatti, il numero di partite ideale per salvaguardare la tenuta fisica degli atleti deve essere al massimo pari a 60, plasmato su 5 giorni di day off tra un match e l’altro e due settimane di riposo pieno in inverno, contro il range 28-42 giornate in estate.

Cifre, neanche a dirlo, non rispettate. Considerando che, secondo quanto riportato da Rivista Undici, oltre il 73% dei professionisti impegnati sia in Europa che con la propria Nazionale non riposi abbastanza.

Tuttavia, come anticipato, si cela un’altra faccia della medaglia. Data dal fatto che, in realtà, le competizioni non sono aumentate, ma solo organizzate peggio.

Sono infatti tantissimi i tornei appartenenti ad un calcio passato, incredibilmente pieno di impegni. Tra quelli non organizzati dalla UEFA ricordiamo:

  • Mitropa Cup (1927 – 1992);
  • Coppa Latina (1949 – 1957);
  • Coppa Grasshoppers (1952 – 1957);
  • Coppa delle Fiere (1955 – 1997);
  • Coppa delle Alpi (1960 – 1987);
  • Coppa Piano Karl Rappan (1961 – 1994);
  • Coppa di Lega Italo – Inglese (1969 – 1976);
  • Coppa Anglo – Italiana (1970 – 1996).

Mentre tra quelli regolati dall’organo di governo del calcio europeo vanno menzionate la Coppa delle Coppe (1961 – 1999) e la Coppa Intertoto (1995 – 1998).

La prima era giocata da tutte le squadre capaci di aggiudicarsi la coppa nazionale, ora invece destinate ad approdare in Champions o Europa League, mentre la seconda era un torneo estivo dedicato a tutti i club incapaci di agganciare la zona Coppa UEFA nella classifica del proprio campionato nazionale.



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Vi ricorda qualcosa? Si, esatto, proprio la zona di classifica che oggi garantisce il ticket per la Conference League. Un torneo che, quindi, è pieno di parenti ed antenati, pur essendo bistrattato. Rappresenta una novità, ma in realtà, sotto sotto, non la è. Funge solo da pretesto per puntare il dito contro un’organizzazione ormai fuori controllo del calcio, ma che prescinde dal numero di tornei.



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