Trent'anni dopo la senteza il "rivoluzionario" Jean-Marc Bosman vive con un modesto sussidio statale, affrontando problemi personali legati all'alcolismo e alla depressione
Jean-Marc Bosman (Foto Creative Commons)
Il 15 dicembre 1995 non è solo una data sul calendario, ma il giorno in cui il mondo del calcio ha subito uno dei suoi terremoti più grandi.
Sono trascorsi trent'anni da quando la Corte di Giustizia dell'Unione Europea emise la Sentenza Bosman (C-415/93), un verdetto che, nato dalla battaglia legale di un modesto calciatore belga, ha ridefinito il mercato e i rapporti di forza tra club e giocatori in Europa.
Il protagonista di questa storica svolta è Jean-Marc Bosman, allora centrocampista del RFC Liegi, il cui contratto era scaduto nel 1990. Desideroso di trasferirsi al Dunkerque, una squadra francese, si scontrò con le regole allora in vigore: il Liegi pretendeva un indennizzo di trasferimento, e in assenza di accordo bloccò il passaggio, riducendo Bosman ad allenarsi con le riserve con uno stipendio minimo.
Bosman decise di fare causa al suo club, alla Federcalcio Belga e alla UEFA, sostenendo che le norme sui trasferimenti e le limitazioni ai giocatori stranieri fossero in contrasto con il principio fondamentale della libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione Europea, sancito dal Trattato di Roma.
La Sentenza Bosman si basò su due pilastri essenziali che hanno rivoluzionato l'industria del calcio. In primo luogo, stabilì l'abolizione del vincolo post-contrattuale, un principio che oggi chiamiamo "Parametro Zero": la Corte stabilì che un calciatore con cittadinanza UE, alla scadenza naturale del proprio contratto, era libero di trasferirsi gratuitamente in un altro club di un altro Stato membro. La squadra cedente non poteva più richiedere alcun indennizzo di trasferimento, conferendo così un enorme potere contrattuale agli atleti e dando vita alla figura del giocatore svincolato a fine contratto.
In secondo luogo, fu decretata la fine delle "Quote" di Stranieri Comunitari. La Corte dichiarò illegale qualsiasi norma federale o di lega che limitasse il numero di giocatori cittadini di un altro Stato membro dell'UE che un club potesse schierare. Questo provvedimento aprì definitivamente le porte del calcio europeo alla globalizzazione dei talenti comunitari.
A trent'anni di distanza, l'eredità della Sentenza Bosman è innegabile e ha plasmato il calcio che conosciamo oggi.
Innanzitutto, si è assistito a un notevole aumento del potere dei giocatori e dei procuratori. Con la possibilità di muoversi gratuitamente, i calciatori (e i loro agenti) hanno visto aumentare esponenzialmente il loro potere negoziale, spingendo verso contratti più lunghi e ingaggi più elevati per i top player. Di conseguenza, le squadre, per evitare di perdere i loro talenti a parametro zero, si trovano spesso costrette ad accontentare richieste economiche sempre più onerose.
Inoltre, la decisione ha favorito la globalizzazione delle rose. L'abolizione delle restrizioni sui comunitari ha portato a formazioni sempre più internazionali, con squadre che schierano pochissimi o nessun giocatore della propria nazionalità. Se da un lato questo fenomeno ha elevato il livello tecnico e tattico delle competizioni, dall'altro ha sollevato preoccupazioni sulla perdita di "identità" dei club e sul minor spazio dedicato ai giovani talenti nazionali.
Infine, la Sentenza è spesso additata come una delle cause dell'aumento vertiginoso dei costi e del crescente squilibrio economico nel calcio. Il divario tra le super-potenze del calcio e i club minori si è ampliato, poiché le società più ricche possono permettersi ingaggi da capogiro per accaparrarsi i migliori giocatori in scadenza, creando un circolo vizioso che rende la competizione meno equilibrata.
Il dato più amaro di questa vicenda è il destino del suo artefice. Sebbene la sua battaglia abbia arricchito generazioni di colleghi, Jean-Marc Bosman ha pagato un prezzo altissimo: la sua carriera fu di fatto stroncata dalla lunga disputa legale.
Trent'anni dopo, il "rivoluzionario" vive con un modesto sussidio statale, affrontando problemi personali legati all'alcolismo e alla depressione. Un paradosso sconcertante: l'uomo che ha donato la libertà e la ricchezza al calcio moderno è rimasto, nella storia, il suo eroe dimenticato e impoverito.
La Sentenza Bosman resta un faro del diritto sportivo europeo, il cui 30° anniversario impone una riflessione: ha reso il calcio più libero e globale, ma anche più diseguale e spietato.