Il grande squilibrio tra Club negli investimenti in calciatori condiziona fortemente i risultati sportivi: va bene così o serve una strada alternativa?
Siamo alle porte di una nuova sessione di calciomercato. Prima che inizi il turbinio di acquisti, cessioni, prestiti, voci di corridoio, accordi a sorpresa e accordi saltati all’ultimo secondo, vorrei portarvi a fare un viaggio sul sottile crinale che separa i numeri del calcio – e del calciomercato – e le emozioni del calcio.
Finché c’è speranza, c’è calcio
Le emozioni nel calcio derivano da due fattori determinanti, che sono l’imprevedibilità e la speranza: all’inizio di ogni partita teoricamente tutto è possibile. Tutti possono nutrire una speranza, grande, piccola o talvolta molto piccola – ma pur sempre una speranza.
E questa speranza si basa sul fatto che il divario tecnico tra due squadre sia minimo, oppure in qualche modo colmabile – magari anche grazie ad un episodio isolato o addirittura ad uno o più colpi di fortuna. Ma il divario deve poter essere colmato – e non soltanto con exploit isolati, ma in maniera piuttosto regolare nell’intero arco di una competizione.
Ora vorrei portarvi per un attimo nel luogo dove da bambini abbiamo sognato grazie al pallone.
Immaginate di tornare nel cortile sotto casa, nel parco o nella strada dove avete giocato le vostre prime partite a pallone, sull’erba o sul cemento, magari con due zaini al posto dei pali, righe immaginarie, e ovviamente senza arbitro (senza fuorigioco e senza VAR, ça va sans dire). Immaginate i due “capitani” che decidono la composizione delle squadre, chiamando a sé, a turno, i giocatori che vorrebbero avere nella propria squadra (di fatto, un calciomercato solo con parametri zero).
Dopo queste importanti procedure, la partita inizia: le squadre però risultano essere tutt’altro che equilibrate, con un 5 a 0 maturato in pochi minuti. A questo punto qualcuno (magari addirittura un componente della squadra che sta vincendo) propone saggiamente qualche aggiustamento mirato nella composizione delle squadre che consenta di riequilibrare le forze in campo. E così due giocatori passano da una squadra all’altra e altri due giocatori fanno il percorso inverso. Questo consente di restituire un senso alla partita, e di divertirsi.
Nella realtà, succede di fatto l’opposto: la squadra che sta vincendo 5 a 0 non si sogna di cedere i propri pezzi pregiati alla squadra in difficoltà, ed anzi si innesca un meccanismo diametralmente opposto. La squadra più debole cede il proprio migliore giocatore alla squadra che sta già dominando; e poi ne cede un altro, e un altro ancora, tipicamente i migliori calciatori, cioè quelli che potevano in qualche modo offrire di volta in volta qualche piccola speranza di poter tenere la partita viva.
Vi divertireste a giocare, per anni, partite di questo tipo (sia nella squadra forte che in quella debole), partite nelle quali la speranza e l’imprevedibilità possono di fatto essere solo una mera illusione?
La realtà è diversa dalla partita in cortile per un motivo molto semplice, che conosciamo bene: i soldi. Il Club più forte ha le risorse per poter convincere la squadra più debole a cedere il suo calciatore promettente, e la squadra più debole ha un forte incentivo ad accettare l’offerta per dare ossigeno alle proprie finanze, molto più limitate di quelle del Club più forte (anche se spesso l’ossigeno serve anche ai Club più grandi…). Il risultato è che, prima o poi, i giocatori più forti finiscono spesso nelle squadre più ricche.
Ora, la domanda più importante da porsi non è probabilmente se questo tipo di dinamica sia giusta o sbagliata (ognuno ha, legittimamente, la propria opinione in materia), ma piuttosto se sia utile o dannosa – anche per i Club più ricchi, e per il sistema calcio nel suo complesso.
È vero che i Club di calcio sono ormai diventati vere e proprie aziende, ma il loro core business rimane l’attività sportiva, e questo li rende aziende speciali e diverse da altre tipologie di imprese. Senza gli avversari, non ci può essere competizione. E senza avversari di buon livello, non ci può essere una competizione avvincente, e questo nel lungo termine può creare problemi anche a chi vince: uno spettacolo noioso e prevedibile prima o poi finirà di essere attrattivo.
Tale dinamica può causare anche spiacevoli conseguenze economiche, anche per i Club più ricchi – per citarne una a titolo di esempio, incrementare sempre le risorse dei diritti TV può essere complicato se un torneo non è avvincente (con tutti gli effetti negativi e potenzialmente destabilizzanti che questo può comportare in un sistema che economicamente si basa in larga misura proprio su questa voce di ricavi).
È dunque indispensabile perseguire un delicato equilibrio tra il naturale obiettivo di ciascun Club di vincere il più possibile e l’esigenza di sistema che venga mantenuto un certo livello di equilibrio competitivo.
Fatta l’ovvia e doverosa premessa che non si tratta certo (neanche lontanamente) di una scienza esatta, per mille motivi che non è necessario elencare, si potrebbero seguire due strade per valutare la qualità tecnica dei calciatori di una squadra: 1) usare il valore degli stipendi dei giocatori, oppure 2) usare i valori dei cartellini dei calciatori, cioè le somme che i Club versano per poter acquistare calciatori da altri Club.
Utilizzare il valore degli stipendi dei calciatori consente di avere un’approssimazione della qualità dei calciatori in rosa in una determinata stagione, siano essi di proprietà del Club oppure in prestito da un altro Club. Il valore dei cartellini fornisce invece un’indicazione sul valore del parco calciatori di proprietà – non di quelli in prestito, a meno che non scatti poi un’acquisizione – ma tiene conto anche degli investimenti effettuati nel tempo. Entrambi gli approcci sono utili e, di fatto, possono essere considerati complementari.
Mi concentrerò, con una scelta soggettiva, sul valore dei cartellini. L’acquisizione di calciatori, rispetto al prestito, può essere essa stessa considerata un elemento che può impattare sull’equilibrio competitivo: una squadra con molti prestiti in una stagione potrebbe avere un monte stipendi simile a quello di una squadra che ha prevalentemente giocatori di proprietà, ma quest’ultima può probabilmente beneficiare di una continuità nel tempo che ne può rafforzare la competitività sportiva. Inoltre, il valore dei cartellini fotografa non soltanto la stagione in corso ma anche gli investimenti effettuati in precedenza per formare la rosa attuale.
Chiaramente, potrebbero essere necessari aggiustamenti, ad esempio per tener conto dei calciatori in prestito in una determinata stagione (per fare questo si potrebbero utilizzare i costi sostenuti per acquisire i calciatori in prestito e si potrebbe non considerare il valore dei cartellini di quelli ceduti in prestito), per tener conto dei calciatori arrivati a parametro zero e per dedurre dal valore dei “diritti pluriennali alle prestazioni dei calciatori” (la voce nella quale vengono contabilizzati i valori dei cartellini) alcuni altre voci che non si riferiscono strettamente al valore dei calciatori ma ad alcuni oneri collegati (per semplicità mi riferirò prevalentemente al valore dei cartellini). Inoltre, ragionamenti ed analisi simili a quelli che svolgerò possono essere svolti anche con riferimento al monte stipendi. Insomma, il riferimento al valore dei cartellini non deve essere inteso in modo rigido e inflessibile, ma come una base per una riflessione.
Come per gli stipendi, il valore dei cartellini offre una buona approssimazione della forza dei calciatori: non è chiaramente un indicatore perfetto (che peraltro non può esistere) e non sempre avere calciatori che sono costati di più significa automaticamente vincere trofei (tra gli altri molteplici elementi da considerare, il ruolo dell’allenatore è ovviamente cruciale), ma c’è in generale una forte correlazione tra valore dei cartellini e qualità della rosa. Inoltre, Club con valori delle rose dei calciatori relativamente più bassi difficilmente riescono a compiere miracoli sportivi – e questo è a mio parere il tema principale: il ventaglio di Club che possono nutrire speranze di successo non dovrebbe essere, almeno in partenza, ristretto ad un piccolo numero di Club, sia per i campionati domestici che per le competizioni europee.
Come abbiamo visto nella prima puntata di Numeri in Palla, 20 club in Europa hanno un parco giocatori per la cui acquisizione hanno investito 14,7 miliardi di euro, circa il 54% dei 27 miliardi di euro investiti nelle rose dei giocatori da tutti gli oltre 700 Club di tutte le prime divisioni in Europa (e per questo il numero di maglia che vedete oggi è il 54). Si noti che questi numeri fanno riferimento al “costo storico” dei cartellini, cioè alle somme pagate nel tempo per l’acquisizione dei calciatori che compongono la rosa di una squadra.
Si potrebbe utilizzare anche il valore netto di bilancio, che tiene conto degli ammortamenti, ma il quadro complessivo non cambierebbe radicalmente; inoltre, il costo storico offre un’idea più precisa di quanto effettivamente i Club abbiamo pagato nel tempo per costruire la rosa. I dati sui valori dei cartellini variano naturalmente da una stagione all’altra in base ad acquisti, cessioni, ammortamenti ed eventuali svalutazioni, ma i rapporti di forza sono piuttosto stabili (nell’analisi che segue troverete dati per il 2024 e per il 2025).
Per i Club di Serie A, consideriamo i dati di bilancio a giugno 2025 (oppure a giugno o dicembre 2024 per alcuni Club per i quali il dato più recente non è ancora disponibile): il Napoli, che ha vinto lo scudetto, aveva il secondo valore più alto in termini di costo storico dei diritti pluriennali alle prestazioni dei calciatori, circa 492 milioni di euro (inferiore solo ai 658 milioni di euro della Juventus).
Quasi la metà degli oltre 4 miliardi di euro di investimento totale in cartellini dei calciatori fa capo a quattro società, tutte con un valore superiore a 400 milioni di euro – Juventus, Napoli, Milan (463 milioni di euro) e Inter (411 milioni di euro) – peraltro, le uniche squadre che hanno vinto lo scudetto dal 2002 al 2025. Per 4 Club – Atalanta, Bologna, Roma e Fiorentina – il valore era inferiore a 400 milioni di euro ma superiore a 200 milioni di euro. Per 12 Club, la quota era inferiore a 200 milioni di euro, e per 6 di questi 12 Club il valore era inferiore a 100 milioni di euro. Infine, il valore per alcuni dei Club con investimenti in cartellini relativamente più bassi era di oltre 10 volte inferiore rispetto a quello dei Club con la quota relativa più alta.
Volgendo lo sguardo ad altri campionati, in base ai dati per la stagione 2023/2024 inclusi nel rapporto UEFA “The European Club Finance and Investment Landscape” (pp. 52 e 53), in Premier League i primi 5 Club (su 20) con investimenti maggiori in cartellini rappresentavano oltre il 50% degli investimenti totali in cartellini dei Club della Premier; il Manchester City, che ha vinto il campionato nella stagione 2023/2024, aveva il secondo più alto valore di investimenti in cartellini.
Se guardiamo alla Spagna, 3 Club della Liga (Real Madrid, Barcellona e Atletico Madrid) avevano un valore di investimenti complessivi in cartellini pari a quasi il 60% del valore totale per tutti i 20 Club della Liga; il Real Madrid, che ha vinto il campionato nella stagione 2023/2024, aveva il valore più alto; dal 2005, solo questi 3 Club hanno vinto il campionato spagnolo. Se guardiamo alla Germania, due Club, il Bayern Monaco e il Lipsia, avevano quasi il 40% dell’investimento complessivo in cartellini dei 18 Club della Bundesliga, e il Bayern ha vinto tutti i campionati di Bundesliga dal 2013 ad oggi con l’unica eccezione della stagione 2023/2024.
In Francia, il Paris Saint-Germain, che ha vinto il campionato 2023/2024 e 11 dei 13 campionati francesi dal 2013 al 2025, rappresentava circa il 36% dell’investimento totale in cartellini di tutti i 18 Club di Ligue 1. Infine, il quadro non è diverso se guardiamo alle competizioni europee per Club: i Club partecipanti alla UEFA Champions League presentano dimensioni economiche molto diverse, inclusa la distribuzione del valore dei calciatori, e un discorso analogo può essere fatto per l’Europa League e la Conference League.
Alla luce di questi numeri e di questo quadro, che sembrano lasciare poche speranze, che cosa si potrebbe fare per cercare di riequilibrare la famosa partita nel cortile?
La regolamentazione economico-finanziaria del calcio, sia nazionale che europea, ha di fatto tra i suoi obiettivi anche quello di tutelare l’equilibrio competitivo, insieme ovviamente con la sostenibilità economico-finanziaria. Esistono una serie di strumenti che mirano a promuovere, in forme diverse, un equilibrio tra ricavi e costi, inclusi gli stipendi dei calciatori e gli ammortamenti dei loro cartellini (si pensi, nel sistema italiano, all’indicatore del costo del lavoro allargato, che per la Serie A da quest’anno è diventato l’indicatore che può fare scattare blocchi al mercato parziali o totali); e ci sono poi altri strumenti che hanno lo scopo di consentire una redistribuzione delle risorse attraverso meccanismi di solidarietà (ne sono esempi, in Italia, la mutualità distribuita dalla Serie A alle altre serie, e a livello europeo i contributi di solidarietà versati dalla UEFA per le società che non partecipano alle competizioni europee per Club).
Tutte queste norme e questi meccanismi sono necessari ed utili, perché svolgono un ruolo cruciale nel perseguimento della sostenibilità economico-finanziaria e dell’equilibrio competitivo. È lecito però domandarsi se non potrebbe essere fatto qualcosa di aggiuntivo e di diverso nell’ottica di promuovere ulteriormente l’equilibrio competitivo ed evitare che ci siano squilibri strutturali eccessivi tra la qualità tecnica delle squadre.
Non esistono norme che regolino la distribuzione relativa tra i Club del valore dei cartellini dei calciatori o dei loro stipendi, o che ne incentivino una distribuzione non troppo disomogenea. Quel che conta, tipicamente, è piuttosto il rapporto tra i costi (inclusi stipendi e ammortamenti dei cartellini) e i ricavi di ciascun club. Un Club con ricavi molto elevati può di fatto spendere molto di più in cartellini, ammortamenti e stipendi dei giocatori rispetto a Club con ricavi più contenuti, e lo può fare nel rispetto dei parametri economico-finanziari stabiliti dalle norme. Per ciascun Club l’asticella dei possibili investimenti e costi è dunque determinata dai ricavi a disposizione di quel Club, a prescindere dalle situazioni degli altri Club.
Potrebbero essere introdotti meccanismi che utilizzino come base di partenza il livello di squilibrio tra i Club in termini di divario nel valore dei cartellini, ma poi agiscano su altre leve? Per esempio, potrebbero essere adottati, sia a livello nazionale che europeo, nuovi meccanismi di redistribuzione delle risorse che prevedano benefici economici per i Club con valori dei cartellini relativamente più bassi rispetto agli altri Club che partecipano alle stesse competizioni?
Un approccio di questo genere richiederebbe scelte difficili (a partire dalla fonte delle risorse da redistribuire) e un complesso lavoro tecnico, ma con ogni probabilità i veri ostacoli non sarebbero di natura tecnica. Come per tutti i meccanismi redistributivi, qualcuno sarebbe contento, mentre altri sarebbero meno contenti. Chiaramente, non è una strada semplice, anche perché i grandi Club opporrebbero probabilmente una forte resistenza – comprensibilmente. Ne abbiamo avuto un esempio con la recente decisione della Premier League di non introdurre un meccanismo che avrebbe imposto ai Club un tetto ai costi per la squadra calcolato come multiplo delle risorse distribuite centralmente dalla Premier (sostanzialmente i diritti TV) al Club che riceve la somma più bassa.
Però si deve anche tener presente che solitamente c’è sempre qualcuno più bravo, più forte, più ricco: un Club molto forte a livello nazionale può trovarsi in una situazione diversa nelle competizioni europee, e non riuscire a vincere mai per lo stesso motivo (almeno in buona misura) per il quale gli altri Club non vincono mai nel suo campionato nazionale. Un meccanismo di questo tipo potrebbe dunque aiutare anche questi Club, oltre a promuovere l’equilibrio competitivo del sistema calcio nel suo complesso. Se opportunamente calibrato, potrebbe anche dare una mano a mitigare il problema dell’impatto delle competizioni europee per Club sull’equilibrio competitivo dei campionati nazionali.
Forse potrebbe essere un modo per restituire alla partita nel cortile il sapore dell’imprevedibilità e della speranza. Buon calciomercato a tutti!
Jacopo Carmassi è Principal Economist presso la Banca Centrale Europea ed esperto di tematiche economico-finanziarie del mondo del calcio. Tutte le opinioni espresse su Social Media Soccer sono esclusivamente personali e non impegnano in alcun modo la Banca Centrale Europea né altri enti ai quali l’autore è affiliato