L'uomo del mare è volato via. Il calcio piange un trainer visionario che nel cuore dell'Abruzzo ha trasformato i sogni in realtà. Vita e opere del maestro campano di nascita, trapiantato Delfino
Foto tratta da official website Pescara Calcio
Raccontare Giovanni Galeone è impresa ardua. Partiamo dal triste epilogo. Il mister classe 1941, infatti, si è spento quest'oggi. Ha scelto una domenica di campionato, non a caso, perché il sangue del calcio scorreva veloce nelle sue vene. “Il mare d'inverno”, cantava Loredana Bertè. Sì, il mare. Quel mare che a Pescara ha rapito cuore a anima di una persona libera, simpatica, vera.
Intendiamoci, Galeone in carriera ha guidato varie compagini in giro per lo stivale. Dall'Udinese al Perugia passando per la SPAL, Como, Ancona. Senza dimenticare la onesta avventura da calciatore con le casacche di Arezzo, Avellino, Vis Pesaro, Nuores, Entella, Monfalcone e Udinese. Giovanni ha viaggiato in lungo e in largo l'Italia. C'è un luogo, però, in cui le onde del mare hanno travolto d'affetto il mister nato a Napoli 84 anni fa.
Il riferimento è a Pescara, perla abruzzese. Galeone la raggiunge nel 1986 in una situazione decisamente particolare. Il Delfino è stato appena ripescato in cadetteria, ma il team biancoazzurro era stato costruito in sede di mercato tempo prima con una strategia di rafforzamento basata sulle esigenze di un campionato di C1. In città serpeggia scetticismo e preoccupazione. La mossa societaria di puntare su un tecnico rampante ma, al tempo stesso, inesperto a certi livelli rende ancor più pesante l'aria.
Giovanni non si scompone e costruisce pian piano il giocattolo perfetto. Il Pescara ci mette poco a carburare e ingrana la sesta marcia fin dal principio. Al culmine della regular season è vetta incontrastata e pazzesca promozione in Serie A. L'Adriatico diventa un parco giochi e i tifosi sono in delirio. Quello di Galeone è un calcio spumeggiante, offensivo, disposto rigorosamente a zona in difesa. Rischioso da un lato, pirotecnico in attacco. Il miracolo si materializza la stagione successiva. Il neo patron Scibilia investe ingenti cifre per ingaggiare Blaz Sliskovic e Junior. Il fantasista balcanico è un talento cristallino, tipico esempio di genio e sregolatezza, mentre il brasiliano ex Torino offre ancora classe pura nonostante la carta d'identità ormai avanzata. Loro insieme ai vari Bergodi, Dicara, Gasperini (proprio lui), Berlinghieri, Zanone e Rocco Pagano. La sgusciante ala di San Nicandro Garganico era il terribile incubo per un certo Paolo Maldini.
Tra successi spettacolari e rovinose sconfitte, il Pescara 1987-1988 riuscirà a strappare la permanenza in Serie A portando alla ribalta nazionale un gruppo di perfetti sconosciuti, tranne due, traghettato da un rivoluzionario in panchina. Da quelle parti, qualche decennio più tardi, torneranno ad impazzire per le geometrie offensive di un'altra icona come Zdenek Zeman. Da Junior, Sliskovic e Pagano a Verratti, Insigne e Immobile.
Galeone vivrà pure un secondo ciclo a Pescara. Nell'annata 1991-1992, con Pierpaolo Marino direttore sportivo, è al timone della squadra che brinda al ritorno in Serie A. Furoreggia il trio offensivo formato da Edi Bivi, Ricky Massara (attuale dirigente romanista) e il mitico Pagano. In mediana c'è un nome: Massimiliano Allegri. Ecco, qui si apre un capitolo di amicizia fraterna davvero profonda. Max sostanzialmente diventa il figlioccio di Galeone. I due vivono in simbiosi e si frequentano sovente anche fuori dal terreno di gioco. Un rapporto spezzato solo dall'odierna scomparsa del vecchio mister. In questa sede ci piace ricordare anche Stefano Borgonovo, centravanti che indosserà la maglia biancoazzurra l'anno successivo in massima serie, prematuramente deceduto a causa della SLA nel 2013.
“Gente di mare, che se ne va, dove gli pare, dove non sa”: addio mister.
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