Protagonisti della Football Industry: intervista a Jan Alessie

World Football Summit

Where the football industry meets”, un luogo dove tutti gli attori protagonisti dell’industria del calcio si incontrano per ridefinire la vision di questo mondo per i prossimi anni. In questo approfondimento parleremo infatti del World Football Summit, l’evento di riferimento internazionale che fa focus sulla football industry.

Quello descritto all’inizio è il claim di un’idea nata a ottobre 2016. Con Jan Alessie, uno del direttori de WFS, abbiamo avuto il piacere di intervistare a un anno di distanza dalla prima volta.

Jan e lo staff del WFS sono partiti da Madrid per portare il modello anche fuori dalla Spagna.

“In meno di 3 anni abbiamo poi organizzato altri 7 eventi: 3 a Madrid, con la quarta edizione work in progress il prossimo settembre. Poi una edizione più piccola anche a Bilbao e quest’anno la prima a Kuala Lumpur. Tra questi abbiamo organizzato anche un Women’s Football Summit”.

Per approcciare ad argomenti molto complessi e di grande interesse, parto con una domanda più generica.

A che punto è la Football Industry? Soprattutto, quali sono i cambiamenti che avete notato da quando avete iniziato a organizzare il WFS?

Jan Alessie

“La football industry sta sicuramente crescendo tanto e continua a subire cambiamenti. Ad esempi, 10 anni fa un evento come il nostro non avrebbe avuto successo, infatti la crescita è dovuta alla nascita dell’industria calcio, dove ci sono sempre più interessi e si è arrivati a una dimensione globale.

Chi ci lavora sta cercando di incrementare i ricavi del settore. Tutte le federazioni stanno lottando per uno spazio e per curare i propri interessi”.

Sono rimasto colpito da una frase di un vostro speaker pronunciata nell’ultima edizione. Diceva che essere global non è più un opzione per un club, ma un obbligo. Insomma, o agisci ora o sarai tagliato fuori.

In questo senso, cosa devono fare club e leghe per essere appunto global? Ma soprattutto, cosa possono fare i club con budget sensibilmente minori per ridurre il gap e internazionalizzarsi?

World Football Summit Ronaldo

“Proprio l’altro giorno ho sentito David Hopkinson, Global Head of Partnership del Real Madrid che mi ha parlato della difficoltà che i grandi brand mondiali hanno ad arrivare a un pubblico globale. In questo senso il calcio non ha questi problemi e offre una possibilità che nessun altro può offrire.

Come dicono tutti però il club deve essere glocal. Per i club la presenza locale è importantissima e anche le piccole squadre potrebbero aprire uffici in giro il mondo. La Juventus aprirà a luglio l’ufficio in Cina perché sono lì i mercati che vogliono presidiare. Poco tempo fa ne ha aperto uno lì anche il Manchester United.

Per le piccole una strategia può essere quella del supporto dalla propria lega. Qui in Spagna LaLiga sta crescendo tantissimo, creando LaLiga Global Network: 50 uffici in tutto il mondo, sparsi nei paesi di importanza strategica per la lega e il calcio spagnolo. Questi rappresentanti presenti in tutto il mondo lavorano specialmente per i club più piccoli. In parte anche la Bundesliga e la Premier League stanno emulando questo modello”.

Il calcio ha quindi già di per sé una dimensione globale dettata anche dall’universalità dello sport. Può addirittura fare da traino alla mission dei grandi brand”.

Ma il rapporto tra squadre e marchi sarà destinato a essere sempre un rendiconto per aumentare la visibilità, o sarà un rapporto che cambierà ulteriormente in futuro?

“I grandi brand diventano sempre più esigenti, non vogliono più solo associare il loro logo pagando milioni di euro e l’industria del calcio non genera ancora il fatturato di altre industrie come quella tecnologica o quella farmaceutica

Ora il brand non vuole solo visibilità ma guarda ad altro, anche perché si possono misurare tutte le attività che i brand fanno con i club, e le aziende spendono ora gli stessi soldi sia per la classica sponsorship ma anche per le attivazioni. Quindi per le squadre creare contenuti con i brand è innanzitutto un’occasione unica per monetizzare quel prodotto”.

E quali sono secondo te le migliori attivazioni tra brand e club di calcio?

“Le migliori attivazioni sono quelle viralizzate, come ad esempio Emirates ha fatto col Benfica: usavano le hostess del brand dentro lo stadio per presentare la partita e altri servizi all’interno della struttura sportiva. Da lì hanno realizzato anche attività e contenuti video legati a questa iniziativa. È interessante in questo caso il coinvolgimento di figure che non sono solo calcistiche.

Anche perché non dimentichiamo che Il calcio è sì diventato un’industria, ma è situato sempre all’interno di un’altra industria che è quella dell’intrattenimento.

Vedi ad esempio il mondo degli eSport. Una parte del pubblico di questo mondo conosce marchi e calciatori perché ne viene a contatto dai videogiochi e non dal calcio giocato”. 

Jan, hai accennato a un’edizione del Summit verticale sul calcio femminile. Per questo ti chiedo se bisogna pensare all’ultimo Mondiale femminile di Francia come una bolla speculativa o come il primo grande passo mediatico ed economico per il movimento.

“Dico la seconda opzione.

Finalmente le grandi istituzioni del calcio hanno capito che il femminile deve essere promosso non solo per una questione di responsabilità sociale, ma bisogna farlo per lo sviluppo dell’industria del calcio. Il settore è stato abbandonato per tanti anni, ma dopo quello successo di recente, non si può più fare un passo indietro.

Penso al Real Madrid che quest’anno avrà per la prima volta la prima squadra anche al femminile. Il club lo ha fatto soprattutto perché in molti lo stavano chiedendo, gli sponsor attuali e potenziali richiedevano alla presidenza di fare la squadra. Anche perché alcuni brand avrebbero legato la propria partnership al club solo per questi motivi, per non restare indietro verso un trend che sta prendendo piede a livello globale.

Questo mondiale è stato un punto di flessione. Sarà ricordato come il momento in cui il calcio femminile è nato e diventerà strategico per l’industria del calcio.

Per quanto riguarda noi, il nostro primo Women’s Football Summit è stato fatto troppo presto secondo me. Quando non c’era ancora tutta questa attenzione mediatica verso il movimento. Si è comunque potuto parlare delle tendenze del settore, insieme a ospiti di spessore come Sarai Bareman, capo del calcio femminile FIFA, una delegazione del Manchester City, i club spagnoli, la direttrice del calcio norvegese. Tutti hanno parlato della necessità di appoggiare il movimento femminile e trasformarlo in industria.

Il calcio femminile ha un audience potenziale che molti altri sport si sognano. Ora tra l’altro i prezzi di accesso sono più accessibili per i brand, cosa che cambierà in futuro”.

Con il WFS l’idea è di continuare a portare l’evento in altri paesi fuori dalla Spagna. Internazionalizzare l’evento come state facendo. A proposito di giri per il mondo, se escludiamo l’Europa e quindi Serie A, LaLiga, Premier, Bundesliga e Ligue 1, quali sono secondo te le leghe e i Paesi che ricopriranno un ruolo da protagonista nel futuro della football industry?

World Football Summit

“Quest’anno abbiamo organizzato la prima edizione di World Football Summit Asia, a Kuala Lumpur in Malesia, che come l’evento a Madrid, sarà un evento annuale in territorio asiatico. A questo evento aggiungiamo l’anno prossimo a febbraio la prima edizione di WFS Africa, che faremo nella città Sudafricana di Durban. Quest’anno abbiamo ideato il Football Innovation Forum nelle città che ogni anno ospiteranno la finale di Champions, insieme alla UEFA. Quest’anno eravamo ovviamente a Madrid e l’anno prossimo saremo a Istanbul.

Ti dico che l’Europa resterà ancora per molti anni la protagonista assoluta dell’industria. Però è da considerare molto l’Asia con il Giappone che sta programmando di trasformare la propria lega in una tra le più importanti competizioni a livello mondiale nei prossimi 20 anni.

In Cina il governo ha imposto tra le priorità di crescita del paese la promozione del calcio, oltre all’obiettivo di vincere un Mondiale a stretto giro. L’Asia è quindi il continente dove ad oggi ci sono governi che stanno investendo soldi e interessi nel calcio”.

E invece come vedi il calcio negli USA? Sembrava potesse esplodere da un momento all’altro e intraprendere un percorso di crescita in linea ai livelli del contesto europeo.

“Per crescere come industria calcistica serve in contemporanea anche la crescita economica del paese, mentre i club devono strutturarsi esattamente come un’impresa. Bisognare professionalizzare il settore, quindi in primis le figure che ci lavorano. In USA stanno facendo questo discorso investendo soldi, poi c’è la grande scommessa del Mondiale del 2026. Da oggi sino all’inaugurazione, bisognerà vedere i progressi e cosa farà federazione e lega.

Per ora ci sono tanti ottimi investitori nella MLS, forse non sono riusciti a fare il salto di qualità per problemi culturali, dato che a scuola si pratica tanto sport ma si abbandona drasticamente nel periodo dell’università.

Negli USA ci sono già da ora molte cose da cui imparare. Le gestioni dei club sono un esempio su tantissimi aspetti, e sono migliori di tanti club europei. Bisogna solo aspettare la crescita tecnica”. 

Grazie per la disponibilità Jan, è stata una chiacchierata molto riflessiva. Intanto ci prepariamo per il WFS di settembre a Madrid e il Football Innovation Forum di Istanbul a maggio.

Luigi Di Maso

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