Come si può stabilire il valore oggettivo di un calciatore?

Dopo l’inizio delle indagini sulle plusvalenze fittizie, il tema è dibattuto, ma un compromesso è lontano. Tra chi crede che dati e algoritmi possano fornire un criterio affidabile e chi ancora guarda con sospetto i numeri.

Dati sì, dati no. Algoritmi da benedire, o spaventosi. L’innovazione è entrata dalla porta principale del mondo del pallone e ormai da qualche anno costringe gli attori in circolazione a polarizzare le proprie idee. Chi i numeri nemmeno li guarda, e chi ci costruisce un nuovo racconto di questo sport. O addirittura una squadra.

Il caso plusvalenze illecite che nelle ultime settimane ha colpito sia la Juventus che l’Inter ha portato statistiche e algoritmi di nuovo al centro della tavola e richiamato a galla una vecchia domanda: è possibile stabilire un valore oggettivo per i calciatori?

Che cosa è successo?

Martedì 21 dicembre, a quattro giorni da Natale, l’Inter si è trovata la Guardia di Finanza nelle proprie stanze. Le accuse, che dovranno essere provate, sono simili a quelle rivolte ai colleghi juventini soltanto qualche settimana fa. “Window dressing”, ovvero l’abbellimento dei conti tramite il ricorso a plusvalenze fittizie, necessario per rispettare i paletti del fair play finanziario. 

Il caso Rovella

Il tratto in comune di queste operazioni è la loro specularità. Due squadre si scambiano uno o più giocatori e le loro valutazioni in qualche modo combaciano, tanto che in alcuni casi non è nemmeno necessario il passaggio di denaro.

L’esempio perfetto, tra le 42 plusvalenze per cui la Juventus è accusata di falso in bilancio, è il passaggio di Rovella dal Genoa ai bianconeri per 18 milioni di euro. In contemporanea sono finiti in Liguria Manolo Portanova, centrocampista di 21 anni valutato allora 10 milioni ed Elia Petrelli, 8 milioni. Nessuno dei due oggi ha dimostrato di valere quelle cifre.

Inter sotto accusa?

Tornando all’Inter, la procura ha aperto un’inchiesta che ipotizza il reato di “false comunicazioni sociali”, anche se a differenza dell’operazione “Prisma” (quella che coinvolge la Juve) per il momento non ci sono indagati. Si cerca di capire di più, tramite i libri contabili, su quei 90 milioni di plusvalenze realizzate nelle stagioni 2017-18 e 2018-19.

Un esempio su tutti? L’acquisto di Bastoni dall’Atalanta per 31,1 milioni, ha portato a Bergamo due giovani che, a conti fatti, fino ad oggi sono sembrati iper-valutati. Davide Bettella (ora al Monza in serie B dove è impiegato poco), che aveva appena vinto lo scudetto Primavera e veniva ceduto per 7 milioni con plusvalenza da 6,949, senza che avesse mai giocato una partita con i più grandi. E Marco Carraro, che in B a Cosenza ha più spazio, ma per lui al tempo ci volevamo 5 milioni, di cui 4,4 di plusvalenza.

Non solo Inter e Juve

Giusto per fare qualche esempio, ma si tratta di un meccanismo diffuso ovunque, non riguarda soltanto Inter e Juve e nemmeno solo l’Italia. Il Napoli, per dirne una, a fine ottobre era finito sotto la lente d’ingrandimento della Covisoc per l’affare Osimhen. Pagato 71,250 milioni di euro, nell’affare sono finiti anche tre ragazzi che hanno percorso la strada inversa, verso il Lille.

Pagati fin troppo dalla società francese, non hanno mai visto la prima squadra e ora sono nelle serie minori. È il caso di Claudio Manzi, pagato 4 milioni e oggi alla Turris in serie C, di Ciro Palmieri, 7 milioni, che è alla Nocerina in D. O Luigi Liguori, che gioca nell' Afragolese in D, ma per il quale in quei giorni venivano sborsati 4 milioni.

Il valore “oggettivo” di un calciatore

Dire adesso che il meccanismo della plusvalenza fittizia è abusato nei club di calcio per “abbellire” i conti viene facile. Anzi, è un trend chiaramente diffuso a livello internazionale. Provarlo, però, è tutt’altra cosa. E non è detto che qualcuno ci riesca. La ragione è semplice, dal momento che si parla di valutazioni soggettive. Chi può impedire a un club o un direttore sportivo di valutare in un certo modo un calciatore che deve vendere oppure acquistare? Nessuno.

Prezzo e valore

Quello che si può fare, però, è distinguere tra prezzo e valore. Il primo varia a seconda di diversi fattori. Le capacità economiche di una società, il momento sportivo che sta vivendo, l’urgenza o meno di rinforzarsi, magari dopo aver perso un giocatore di livello a pochi giorni dalla chiusura del calciomercato.

In quella situazione, c’è da aspettarsi che sia disposta a spendere di più per garantirsi la giusta competitività. Oppure l’asta per aggiudicarsi un giovane talento: le prestazioni in quel momento possono anche non giustificare un esborso di qualche milione di euro, ma in futuro chissà. Si chiamano investimenti. 

Al contrario, per chi ogni giorno lavora con i dati, appare chiaro che il “valore” di base di un giocatore possa essere stabilito attraverso l’analisi di particolari algoritmi di comparazione che, per farla breve, mettono sullo stesso piano ragazze e ragazzi che presentano “parametri” simili. Partendo dall’età e finendo con il valore della squadra e del campionato in cui giocano, il ruolo, le prestazioni. E via dicendo, compresi gli anni di contratto rimanenti.

A questo punto basterebbe indagare su quelle situazioni in cui il valore di partenza è stato di gran lunga oltrepassato in sede di mercato. Potrebbe essere il caso dei giovani dell’Inter e della Juventus di cui abbiamo parlato poco sopra.

Il caso Zaniolo

Oppure no. Ritorniamo all’estate 2018, un periodo cruciale per i nerazzurri, che si sono alleggeriti di tanti giovani per fare cassa. Al punto che il lavoro del direttore sportivo Piero Ausilio fu elogiato da tutti, per la sua capacità di piazzare i gioiellini della Primavera. In quella lista c’è anche un nome che cambia le carte in tavola: Nicolò Zaniolo.

Sconosciuto, valutato 4,2 milioni con 2,6 di plusvalenza. Prezzo di cartellino esagerato allora? Forse sì. Ma, come sappiamo, al momento è uno dei giovani centrocampisti tra i più forti al mondo e per strapparlo alla Roma ne servirebbero, almeno, dieci volte tanti. 

Le nuove frontiere del calcio

A riprova, che la questione è complessa e ancora non c’è una risposta alla domanda di partenza. Non mancano le ragioni per cui diversi addetti ai lavori bocciano dati e algoritmi, così come non è possibile negare l’importanza che rivestono oggi nel calcio moderno.

Dallo scouting, all’analisi delle partite, all’elaborazione avanzata dei numeri per rinegoziare il proprio contratto. Come ha fatto De Bruyne, che ha convinto il Manchester City a rinnovare il loro accordo con un aumento dell’ingaggio, portando con sé uno studio analitico delle proprie prestazioni, che dimostrasse l’importanza che ricopre per il club.

“Un eventuale algoritmo non sarà mai condiviso in termini di valutazione oggettiva. Parliamo anche di società quotate in borsa, immaginate se possiamo fare riferimento a criteri che non siano soggettivi” ha dichiarato di recente il presidente della Figc Gravina a La Gazzetta dello Sport. Eppure, quando è fallito il Palermo, Wallabies, società che si occupa di scouting attraverso l’intelligenza artificiale, collaborando con società come Atalanta e Parma, fu chiamata a dare una valutazione della rosa.

Altri due contributi che dimostrano come il tema sia attuale, complesso, e soprattutto lontano dall’essere risolto. Almeno in Italia.

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