Fabio Caressa ci sta trollando tutti, di nuovo

E probabilmente stiamo ignorando la sua seconda vita da comunicatore

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«La televisione è tutta finzione. Noi siamo amici, ma te pare che litigavamo? Oppure no?».

È il 2005 e il seme del trolling di Fabio Caressa è appena stato iniettato in tutti noi, o meglio, in tutti quelli che aspettavano il lunedì per guardare la puntata di Mondogol e scoprire cosa succedesse nel calcio fuori confine, idealizzando la figura di Caressa come il più credibile dei cantastorie della nostra adolescenza.

Quel riferimento iniziale alla tv come finzione, all’amicizia e ad una presunta litigata, è proprio la frase con cui il noto telecronista romano chiuse una puntata della trasmissione, quella resa indimenticabile dalla celebre litigata (o presunta tale) con il collega e amico Stefano De Grandis aka “Stè”.

Caressa e De Grandis ci avevano fatto ingenuamente diventare adulti, ci avevano “svezzati”, facendoci interfacciare con la malizia anche in tv.

Ci avevano mostrato come due amici potessero arrivare al litigio in una diretta televisiva, un luogo quasi sacro, quella scatola che proiettava immagini a colori nella nostra cameretta e che rappresentava il nostro ponte col mondo. Un medium che in quegli anni per noi era immacolato, sacro, e che quindi non poteva concedersi scivoloni o momenti di fragile umanità come una litigata.

Su Sky Sport poi, una pay-tv.

Eppure, 17 anni dopo, proprio Caressa e De Grandis ci hanno raccontato di come effettivamente tutto quello si trattasse di finzione. Una litigata finta per permettere ad uno dei protagonisti della trasmissione di andar via prima e non perdersi la semifinale di un torneo di calcio a 5. La più banale delle scuse, il più umano degli impegni sociali.

E la rivelazione ci ha fatto prima rimanere increduli, poi ci ha fatto sorridere, e infine ci ha lasciato basiti e quasi infastiditi, perché eravamo stati trollati da Fabio Caressa.

Come ha scritto un utente commentando la clip presente su Youtube della famosa fake litigata: “Questo video è la pietra miliare del vaterismo. Tutto è cominciato da qui, l'inizio di una storia bellissima da tramandare ai nipoti. Custoditelo gelosamente”.

Il primo seme del troll Caressa era stato piantato quasi 20 anni fa, in funzione di un progetto più grande che sarebbe arrivato molti anni dopo, con l’avvento del Caressa odierno, quello che ogni giorno mette in scena diverse interpretazioni di se stesso, sempre sospeso sul filo del verosimile senza mai cadere nell’assurdo, ma nemmeno sfiorando l’eccessivamente pacato, convivendo con un doppio abito: quello del vate (come consapevolmente viene chiamato sui social) e quello del giornalista più titolato ed esperto d’Italia. 

In questa seconda vita digitale, anche ora che in molti ingenuamente lo danno per “bollito”, Fabio Caressa probabilmente ci sta trollando, per l’ennesima volta.

L’evoluzione di Caressa

Caressa è stato tutto e lo è stato ai massimi livelli per uno che fa il suo mestiere.

È stato il sound di accompagnamento per alcuni dei più bei gol della Serie A nel ventennio migliore, è stata la voce armoniosa della cavalcata ai Mondiali, e successivamente agli Europei, insieme al baritono Bergomi. È stato direttore di Sky Sport, intrattenitore e giocatore di poker (in molti ricorderanno questo video e la “giocata barbara”), ha prestato la voce ai videogiochi di calcio per console più famosi al mondo, nonché laureato in spagnolo all’Università di Salamanca, per poi presentare qualche anno dopo la trasmissione italiana sulla notte degli Oscar quando Benigni vinse il premio con “La Vita è bella” (questa probabilmente ti mancava).

E in effetti, dopo il Mondiale del 2006 e la direzione editoriale di Sky Sport, per continuare ad essere el más grande, doveva rompere il muro del suono e andare oltre, in una nuova dimensione mai esplorata prima d’ora per la professione: il Caressa digitale.  

Se Lele Adani si definisce uno “nel percorso”, Fabio Caressa è più simile a Jack Kerouac, ed è quindi “sulla strada”. Precisamente sulla strada del cambiamento, concetto che, unito alla curiosità, lo ossessiona particolarmente e che secondo il giornalista romano è uno degli ingredienti per una grande carriera e una vita vissuta al massimo.

Secondo Caressa la resistenza al cambiamento è uno dei difetti maggiori della società odierna, il che è paradossale dato che viviamo in un momento storico in cui cambia tutto nel giro di 6 mesi:

«Resistere al cambiamento spesso porta al deterioramento delle proprie possibilità. Io non ero sui social, e mi sono reso conto che andavo in azienda a parlare di cambiamento ma poi ero il primo a resistere al cambiamento.

Allora ho deciso di cambiare, sono qui con voi adesso (sui social, ndr) e cerco anche di imparare dagli altri come si cambia. Con la squadra che è qui con me e mi aiuta a fare queste cose (i contenuti sui social, ndr)».

La capacità di cambiare, non solo come accrescimento costante, ma anche cambiare linguaggio e tono di voce a seconda del contesto culturale, è stata da sempre la dote di un personaggio che sa essere camaleontico.

C’è stato un periodo negli anni 10 in cui l’agenda televisiva di Caressa era simile a quella di un politico in piena campagna elettorale. Era molto facile incrociare il suo viso orbicolare facendo zapping da un programma all’altro. Il giornalista riusciva a palleggiare da un talk politico come “Di martedì” con Floris, fino a fare da spalla a sua moglie Benedetta Parodi in un programma di cucina, senza disprezzare scienza e fisica (una delle sue grani passioni) su Discovery Channel nella puntata iconica in cui prova ad offrire una spiegazione scientifica al modo di calciare le punizioni di Andrea Pirlo.

Camaleontico, appunto.

Così mutevole, pieno di conoscenze e soprattutto consapevole della sua immagine su internet (in questa intervista ammette di essere a conoscenza di meme e soprannomi che girano sul suo conto sui social), che può passare dai toni da berceuse popolare del suo Club di Sky, a quelli da canto gregoriano in questo TEDx sull’intelligenza emotiva.

Sempre sospeso sul filo del verosimile senza mai cadere nell’assurdo, o semmai inciampando qualche volta nel cringe come in casi da Top % Horror come questo “dialogo” con Pietro Pellegri, o in questa battuta imbarazzante nei confronti di Melissa Satta sempre al Club, contesto volutamente ridefinito per sovvertite alcune regole, e dove quasi tutto è concesso se può diventare clippabile sui social. 

Ecco, quasi tutto è un rischio calcolato, o forse ancora più giusto definirlo un modo in cui Caressa consapevolmente fa surf tra le onde di un sistema, quello della comunicazione sportiva, ancora pieno di zone grigie tra il passato analogico e il futuro digitale.

In questa intervista che vi consiglio caldamente e che ad un certo punto prende la forma del monologo, Caressa parla per un’ora e mezza insieme al team di Calciatori Brutti. In quei 90 minuti c’è tutto ciò che serve per capire l’arte camaleontica del giornalista romano.

Passa da discorsi (seppur restando abbastanza in superficie) su management delle imprese, sull’economia, sulla fisica e ovviamente sulla comunicazione, soffermandosi su quella digitale. 

«Perché ragazzi nella vita l’unica cosa è studiare. Bisogna studiare tanto, perché se tu sei preparato puoi gestire l’imprevisto».

Riecco la sua sottolineatura sull’importanza della conoscenza per potersi muovere in contesti indefiniti e saperli leggere. Come ad esempio i social.

Nell’intervista che risale ad un anno fa, l’alba del Caressa digitale, un ecosistema personale che oggi ha già una forma molto luminosa e chiara, “er vate” ammette di non avere la capacità culturale per capire il mondo dei social media perché lui proviene dal mondo della televisione, e che sta studiando questo nuovo linguaggio.

Proprio la parola linguaggio è un termine che torna molto utile per comprendere le evoluzioni di Caressa in questo trentennio, e soprattutto il campanello d’allarme per capire quando ci sta trollando o no.

Il linguaggio è probabilmente l’elemento più importante nella comunicazione, ne è l’anima. Attorno al linguaggio si crea una grammatica, un codice condivisibile, uno stile riconoscibile, si definisce il successo o meno della comunicazione stessa.

Il “Caressismo” si è fondato su un certo tipo di linguaggio, anch’esso mutevole in base al contesto, utile per ridefinire il modo di fare la telecronaca di una partita di calcio.

Sfido chiunque nato non oltre il 1995 a non ricordare ancora a memoria le parole di Caressa nei momenti cruciali della cavalcata al Mondiale del 2006. Quante visualizzazioni abbiamo collezionato su quel famoso video dei gol dell’Italia e la musica dei Pirati dei Caraibi in sottofondo?

Dopo quell’esperienza, ornamentata dagli iconici intro recitati qualche minuto prima dell’inizio delle partite, il vestito di Caressa ha assunto una grammatica bellica successivamente con espressioni come “serriamo le linee” (in particolare nel Mondiale del 2014), fino ad un linguaggio di tipo mistico ed esoterico nell’Europeo vinto nel 2021 (la Chiesa al centro del villaggio).

Senza perdersi un’evoluzione importante, quella delle partite senza pubblico durante la pandemia, in cui il termine “immergiamoci” era diventato un meme popolare, ma che in realtà per Caressa e il suo team era un termine studiato per dare un segnale al tecnico dell’audio che in quel momento avrebbe dovuto alzare il livello dell’audio proveniente da bordocampo, mentre lo stesso Caressa sarebbe stato in silenzio per offrire al pubblico grida e sensazioni direttamente dalle panchine. 

C’è un’enorme consapevolezza in tutto quello che Caressa fa e dice, con un occhio alla sostanza e uno alla forma. Il perfetto equilibrio tra qualcosa che può funzionare sul mezzo e il contesto in cui Caressa si sta esprimendo, ma che deve essere anche capace di uscire ed essere riproducibile anche in altri mondi, come lo sono le piattaforme social appunto.

Spesso e volentieri questo genere di visione ha insospettito in molti, specialmente il critico televisivo Aldo Grasso che non si è mai risparmiato definendo “retorica da puro intrattenimento” il livello raggiunto da Caressa in un Juventus – Atletico Madrid finito 3 a 0 per i bianconeri, ma anche populista, o addirittura peggio (come scritto qui) da “orecchiante sempliciotto”, per definire il livello delle riflessioni del telecronista romano.

Ma come ha rassicurato in maniera eloquente proprio Caressa nell’intervista con CB: “Io sono trash”.

Con un tono di voce atto a rivendicare la consapevolezza di ogni azione, di ogni frase, accento e battuta, anche quelle che creano imbarazzi in studio.

L’evoluzione di Caressa a personaggio popolare, per linguaggio e per engagement, è segno di un cambiamento lungo e trascinato in diversi step.

Il primo seme del personaggio attuale è stato gettato nel terreno sicuramente il giorno della finta lite con De Grandis, dando poi vita ad una pianta che è cresciuta un ramoscello alla volta, e che non è mai fiorita aggressivamente finché non era riposta nel vaso dalle giuste dimensioni.

Il Caressa che oggi si permette 5-6 battute a trasmissione, quello che sovrasta gli ospiti e compagni di trasmissione, quello che sbotta in diretta e tende a voler riportare nel recinto della semplificazione alcuni concetti e topic, è sbocciato dopo aver raggiunto il top della professione (Mondiale 2006 e direzione di Sky Sport).

Mai prima, ma solo quando c’era da reinventarsi, forse riadattare la comunicazione (personale e forse quella in generale della tv sportiva), e solo quando la legacy ottenuto in carriera glielo poteva permettere.

La stessa legacy che oggi gli permette di raccontare del suo rapporto di amicizia con molti allenatori, tra cui Gasperini (con cui fa aperitivo in montagna), Ancelotti e Allegri. Anche qui mi viene da pensare: Caressa parla di questi legami consapevolmente per ottenere un effetto futuro quando parlerà in trasmissione del tecnico livornese? Non ha il timore che qualcuno gli rinfacci un distacco minore o un’eventuale sensibilità maggiore nei confronti dell’Atalanta durante le interviste post-partita?

Probabilmente ne è molto consapevole e fa un uso preciso di queste dichiarazioni (soprattutto se si parla di Allegri).

Caressa ha avuto modo di spiegare nel tempo anche il suo stile di telecronaca, per alcuni egoriferita e troppo squillante: «Io voglio togliere il vetro e portarti in tribuna a vedere la partita. Fare vivere l’emozione.

Che è proprio il contrario di ciò per cui mi accusano.

Non voglio mettermi mai davanti alla partita, ma elimino tutta la grammatica del bravo giornalista schematico, perché l’emozione non deve essere filtrata».

Anche l’uso del termine “filtrata” non è scelto a caso.

In un’epoca in cui con l’avvento del web 2.0 abbiamo assistito alla disintermediazione della comunicazione, soprattutto quella giornalistica e sportiva, in cui il filtro tra calcio e tifoso, quindi il media, è stato abbattuto o comunque per sempre rivoluzionato. 

Ed eccoci qui, al Caressa digitale.

Fabio Caressa e l’uso dei social

I social media sono lo strumento perfetto per il nuovo vestito che Caressa si stava ricucendo negli ultimi anni.

Tuttologia, enfasi, capacità di parlare davanti una telecamera con disinvoltura, tormentoni e semplificazioni (in entrambe le accezioni che può assumere il termine). Probabilmente Caressa lo ha scoperto molto dopo che i social avrebbero potuto essere il suo nuovo palcoscenico (“Inizialmente me mbarazzava l’idea. Però an certo punto ce stavano tutti sui social e allora vale tutto”).

Nel giro di un anno dal suo primo passo sui social network, Fabio Caressa è diventato creatore costante di contenuti su Instagram, Youtube, TikTok e Twich.

Il Caressa onnipresente si è reinventato praticamente sulle piattaforme più influenti, bypassando il percorso fatto da altri colleghi anni prima (Facebook e Twitter), senza perdere terreno, anzi, risultando attrattivo sotto diversi aspetti.

Senza dimenticare che “Il Club” di Sky è nato prima di molti format di Twitch che indirettamente o direttamente, a diverse intensità, hanno ripreso alcuni schemi del programma fatto con Bergomi, Di Canio e Marchegiani.

I social network poi possono ricreare ogni giorno quel meccanismo messo in scena dal club solo settimanalmente, ovvero una serie di brevi clip, di tormentoni privi di circonlocuzioni che non fanno altro che accrescere quotidianamente la fiamma del Caressismo.  



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Sono molto d’accordo con lui quando dice che “Il calcio è l’espressione culturale del paese che lo produce”. Ed è un discorso che per certe sfumature vale anche per l’utilizzo che fa un paese dei social.

E comunque, anche in questa seconda vita digitale di Caressa saremo vittime e bersagli della sua arte del trolling. “La televisione è tutta finzione (e aggiungo io, pure i social network). Noi siamo amici, ma te pare che litigavamo? Oppure no?”.



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