Calcio e social media, il punto di vista del Digital Marketer Riccardo Scandellari

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Digital Marketer, giornalista e autore di libri sul Marketing Digitale. E’ il profilo di Riccardo Scandellari, noto anche come “Skande”, il nome con cui è conosciuto il suo blog, la bibbia di influencer, addetti ai lavori e non.  Vi proponiamo in questa intervista il suo interessante punto di vista sul calcio e social media: un punto di vista di un osservatore esterno visto che Scandellari ci tiene a precisare che con il mondo del pallone non ha mai avuto incroci professionali.

Squadre di calcio e calciatori nel mondo dei social: quali potenzialità si nascondono dietro un semplice tweet?

“Una delle poche cose che so di calcio è che Cristiano Ronaldo attraverso i suoi account Twitter e Instagram fa un mucchio di soldi perché fa pagare ogni singolo tweet centinaia di migliaia di euro. Ovviamente lui ha milioni di persone che lo seguono in tutto il mondo. Io credo che i calciatori, specialmente quelli di Serie A, quelli più affermati, abbiano un potere mediatico incredibile e sono seguiti da tantissime persone che li prendono come riferimento, come modello. Quindi con la comunicazione possono guadagnarci. Hanno un opportunity time ma hanno anche dei rischi. Rischi di poter comunicare male, ci sono alcuni esempi famosi, come Balotelli. Però in tutti i casi è certo che possono monetizzare perché, secondo me, sono seguiti tantissimo e sono presi come modello. Anche senza fare platealmente pubblicità, basta che loro indossino un paio di occhiali, o facciano vedere l’automobile, e fanno subito trend per l’azienda che si appoggia a loro”.

Per non incorrere nei cosiddetti “epic fail”, quanto è importante per un personaggio pubblico formarsi e apprendere le nozioni base del social posting?

Sicuro! La formazione è proprio nei contenuti e nel gestire la crisi. Una persona molto in vista è una persona che può anche essere presa molto di mira da persone che magari non c’entrano nulla, da persone che utilizzano i social per sfogarsi e dire quello che gli passa per il cervello, ma per il cervello passano anche cose veramente assurde. Quindi bisogna riuscire ad avere sangue freddo e gestire le cose in modo corretto perché altrimenti si fa molto in fretta a passare dalla parte della ragione alla parte del torto. Dal punto di vista comunicativo va preso ogni singolo elemento e valutata la sua formazione, la sua cultura, il suo mondo, il suo temperamento. Bisogna anche essere un po’ accondiscendenti con la propria immagine, il proprio modo di fare. Non ci si può appoggiare ad un ufficio stampa che può trasmette informazioni fredde. Devono essere comunque informazioni calde. Il rischio è non apparire bene, essere sintetici è la cosa peggiore che possa capitare”.

Un mercato degli influencer nel mondo del calcio esiste, ma secondo lei sono paragonabili alla categoria degli Youtuber che ormai spopola in rete?

“Incredibile come esistano intere categorie, tra cui questa, che non passano attraverso le agenzie. In questi casi mancano le persone che in realtà sono famose per aver fatto altre cose e non per utilizzare bene una telecamera o videogiocare bene a qualcosa. Gli Youtuber arrivano ad ottenere notorietà sul web per meriti. Il calciatore è arrivato a diventare famoso in rete per altri meriti, quelli calcistici. Lo Youtuber è un comunicatore, un comunicatore nato, quindi per lui è molto più semplice gestire le crisi, gestire la comunicazione, perché è nato facendo questo mestiere. Il calciatore è nato per fare il calciatore e quando si trova al centro di un’esposizione mediatica non è altrettanto preparato quanto un famoso Youtuber, che è nato con la comunicazione, ha vissuto il rischio. Pochi lo seguivano, poi ha capito che ci sono errori su errori ma gli errori quando li fai in un piccolo contesto sono errori piccoli, quando invece li fai davanti a mezzo milione di persone che ti guardano sono errori molto più grandi”.

Il calciatore o la squadra di calcio stanno diventando sempre di più dei produttori di contenuti: un gesto atletico durante una partita è un contenuto, offrire un immaginario è un contenuto. La Juventus ha firmato un accordo con Netflix per produrre una mini-serie sulla sua storia. Siamo di fronte a un cambiamento epocale: squadre di calcio e giocatori che diventano editori?

“Certo. I calciatori vivono immersi in contenuti incredibili, fanno uno sport al top della loro categoria e quindi sono immersi da fotografie, video, e altre cose che possono postare. Ma vivono anche in un ambiente sopra le righe nel senso che non vivono come un operaio che torna a casa alle cinque di sera. Sono persone che vivono in un ambiente di un certo tipo, immersi da contenuti che vogliono senz'altro utilizzare. Dopodiché bisogna fargli comprendere quali sono i contenuti più corretti, bisogna cercare di non essere troppo autoreferenziali, ovvero parlare solo di sé, parlare solo di quanto sono bravi, perché i followers poi ad un certo punto sentono un distacco da questo tipo di contenuto. Dicevamo prima che i blogger o gli Youtuber hanno la capacità di essere vicini al loro pubblico perché parlano con il loro pubblico e non si pongono sopra il loro pubblico. Quello che fanno di solito i calciatori spesso è di porsi sopra il pubblico. Il calciatore che riuscirà ad avere un approccio diretto, alla pari con il proprio pubblico, secondo me riuscirà ad ottenere grande risonanza sui social network”.

Quando si studiano strategie digital per aziende o brand bisogna prendere in considerazione tutta una serie di parametri che dovranno tradurre in risultato economico le azioni messe in atto. Quali sono secondo lei i parametri da prendere in considerazione per un’efficace strategia digital di un cliente proveniente dal mondo del calcio?

“Io li tratterei alla stregua di qualsiasi altro influencer, chiamiamolo con questo brutto termine, di qualsiasi altro proveniente dal mondo del blogging o di Youtube. Vince quante persone riescono a raggiungere il personaggio, è facilmente misurabile, l'engagement, ovvero quanta gente risponde ai commenti, condivide, mette like, oppure partecipa alle call to action, ovvero se si inseriscono file da scaricare in PDF, chiedendo di iscriversi a una determinata cosa. Controllerei l'incrocio tra questi due fattori e cercherei di capire quanto valgono. Se diamo ad uno Youtuber famoso l’incarico di fare pubblicità ad un brand, abbiamo immediata contezza di quante visualizzazioni ha avuto il suo video, quanti like ha ricevuto, quanta gente ha seguito il link e su quei parametri si misura quanto è la spesa per affidargli un'attività di promozione. Uno Youtuber famoso è capace di raccogliere anche un milione di visualizzazioni. Un milione di visualizzazioni si fanno con una tv, una delle tv top italiane, le prime 3-4- o 5. I costi sono da parametrare su quel tipo di prezzo. Quindi si potrebbe quantificare in 10.000 euro il compenso di un calciatore che riesce ad arrivare ad un milione di visualizzazioni”.

Quindi in un modo o nell'altro è possibile dare un valore all’attività social?

“Un calciatore è un professionista che ha il valore, non è un mercato per tutti essendo un B2C (Business to Consumer, ndr) che è un mercato che vale di meno. Un blogger che parla solo di trattori, e ha 1000 persone che sono interessate ai trattori, vende 15 trattori a 1000 persone, se al suo posto ci fosse il calciatore non ne venderebbe nemmeno uno. Questo perché quello dei calciatori è un mercato B2C e va trattato in quel modo, ovvero alla stregua dei gossip quotidiani o della televisione per definire il valore di una loro uscita”.

Ci sono squadre di calcio che hanno fan base inferiori a quelle dei loro calciatori. E’ una particolarità di questo mondo o è un dato che ha potuto riscontrare anche in altri ambiti?

“Questo è un classico. Io ho lavorato per una grossa banca che aveva dei promotori finanziari con molti più fan sulla loro pagina rispetto a quella della banca stessa. È normale, questo succede perché sui social network ci siamo come persone, vogliamo dialogare con altre persone, quindi quando ci si trova davanti al logo di una banca non facciamo like, non conversiamo con il logo di una banca. Vogliamo conversare con quello che ci stipula la polizza o con cui firmiamo il contratto”.

In questi casi i due brand, del club e del giocatore, sono complementari o in competizione?

“No, sono complementari assolutamente, perché quello della società è un brand aziendale quindi avrà una comunicazione istituzionale, una comunicazione che non potrà andare sopra le righe. Dovrà essere un po' più - come si dice - seria, anche se non seriosa. Il giocatore è invece molto più libero dal punto di vista comunicativo ed è per quello che può avere numeri maggiori, perché il calciatore dà l'impressione di avere un rapporto diretto con l’utente”.

 Giulia Spiniello


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