Centro Storico Lebowski, l’unico azionariato popolare che funziona

La squadra fiorentina che milita in Promozione e in cui gioca Borja Valero, ha creato un modello unico, diventando proprietà collettiva dei suoi tifosi.

Immagine articolo

1500 soci, Borja Valero in squadra, una scuola calcio per bambini gratuita: la squadra fiorentina che gioca in Promozione ha creato un modello unico, diventando proprietà collettiva dei suoi tifosi. “Una curva che vede il calcio minore come spazio di socialità, solidarietà e autorganizzazione”.

Prima di spiegare che cos’è il Centro Storico Lebowski è bene aver chiaro in testa cosa non è: una squadra di calcio come tutte le altre. Dalla sua fondazione, nel 2010, parliamo di una cooperativa sportiva di proprietà dei suoi tifosi, stanchi del calcio moderno e delle sue logiche perverse. Fondata, gestita e autofinanziata da loro, con l’aiuto dei soci. Si può dire, quindi, che sia il miglior esempio che abbiamo in Italia di azionariato popolare applicato al mondo del calcio. Un concetto tornato di moda con Interspac, il gruppo che mira a prendersi una fetta dell’Inter.

Come spesso accade, a vincere sono le idee e il Lebowski ne ha avute diverse di trovate vincenti, pure sul piano del marketing, riuscendo a punzecchiare la curiosità degli appassionati con quel continuo ricorso a mostri sacri dell’immaginario collettivo. Alla fine il bello del CSL è che riesce a parlare a chiunque nel mondo, con decine di giornali stranieri che raccontano la sua storia, e al tempo stesso è radicato nel territorio. Come avremo modo di vedere.

È dura resistergli: ne sa qualcosa Borja Valero, ex centrocampista di Inter e Fiorentina – e sindaco ad honorem di Firenze – che ha scelto di giocare in Promozione pur di dare una mano a questi ragazzi. Insomma, dietro al motto “prendiamola come viene” ci sono persone brillanti (o “ganze”) che sostengono con i fatti i valori in cui dicono di credere. “Una curva che vede il calcio minore come spazio di socialità, solidarietà e autorganizzazione”.

Il nome

La casa del Centro Storico Lebowski è lo stadio “Ascanio Nesi” di Tavarnuzze, una frazione del Comune di Impruneta circondata dalle colline del Chianti. Insomma, se non si vive in Toscana si rischia di non averla mai sentita nominare. Da questa condizione ultra-locale, però, il Cls si salva proprio grazie al suo nome. Chi non ha visto il film dei fratelli Coen “Il grande Lebowski”? Ecco. Quindi se porti sul tuo stemma il volto del personaggio principale, “Drugo”, una sorta di cazzuto nichilista, parli a tutto al mondo. E infatti quando nel 2015 il Guardian ha dedicato un articolo al Lebowski sono piovuti soci da tanti Paesi diversi, dall’Inghilterra alla nuova Zelanda.

Ma il nome “Lebowski”, in realtà, è ereditato. Tutto inizia nel 2004, quando un gruppo di ultras della Fiorentina decide di rompere col “calcio moderno” e inizia a tifare una squadra fiorentina di Terza categoria famosa per perdere ogni partita, che appunto si chiama come il protagonista del film cult. Cori, bandiere e fumogeni per questi ragazzi che, all’inizio, si sentono pure presi in giro. Nasce in quell’occasione la curva “Moana Pozzi”, dedicata alla famosa pornostar, un altro nome che non lascia indifferenti. Finché sei anni dopo, nel 2010, non decidono di fondare una loro società. Sanno già come chiamarla, aggiungono soltanto “Centro storico” perché partono da piazza D’Azeglio, nel cuore di Firenze. “Abbiamo dovuto imparare tutto, non avevamo idea di come si organizzasse un club. Da tagliare l’erba del campo, a gestire i conti” ha raccontato la presidentessa Ilaria Orlando. Già, perché i soci del Lebowski hanno eletto lei come numero uno e Matilde Emiliani numero due della società. Alle parole, preferiscono i fatti.

Il manifesto

Proprio come i grandi movimenti politici, anche il Centro Storico Lebowski ha redatto un manifesto. È il modo più corretto per capire fino in fondo cosa li muove a dedicare così tanto tempo a una società di calcio. “Ci eravamo stancati – scrivono - di campionati senza sorprese, di classifiche disegnate dai diritti tv e dagli intrighi di palazzo, di partite ogni tre giorni, sempre più frenetiche e meno spettacolari, di un calcio senza attese e pause, che non riesce più ad aspettare la domenica, di un asservimento alle leggi del mercato che trasforma il gioco in merce, dell’azione dello Stato con i suoi decreti speciali a tutela del business”. “Abbiamo in mente – proseguono - di creare un contesto dove fare calcio nella massima autonomia, per quanto ci è possibile, dalle ingerenze dello Stato e del mercato nel gioco. Per questo puntiamo a esistere grazie all’autofinanziamento e all’aiuto degli appassionati di vero sport, senza concedere niente alle speculazioni che accompagnano il calcio di oggi. Vorremmo fare dello stadio che ci ospita una nuova casa per il quartiere, creando un luogo aperto a chiunque voglia riscoprire il sapore di un calcio antico e popolare”. 

Le iniziative

In un club che è una “proprietà collettiva dei suoi tifosi”, ognuno deve rimboccarsi le maniche della giacca. “C’è chi taglia l’erba del campo prima delle partite, chi organizza le feste per portare i soldi per iscriversi al campionato, chi fa le collette per autofinanziare il materiale sportivo – raccontano - chi pulisce la sede, chi raccoglie i palloni dopo l’allenamento”. A inizio novembre, per riuscire a tornare a giocare in casa, gli stessi calciatori hanno costruito un “nuovo settore” dello stadio per ampliarne la capienza. E ogni domenica (o sabato a seconda del calendario) prima di salire sui gradoni della Pozzi, tutti a pranzo insieme. “Grigliata mista con panini a nastro, con tanto di alternativa vegetariana con verdure grigliate, il tutto preparato da chef grigioneri di provata qualità” il menù del 20 novembre. “Tortelli di patate al ragù di maiale, risotto alla zucca e gorgonzola, pollo all’arancia con radicchio”. Quello di qualche settimana prima.

Un passo alla volta il Lebowski è diventato adulto. Oltre alla squadra che gioca in Promozione oggi ne ha anche una femminile, una di calcio a 5 e una formazione juniores che sta andando fortissimo. Soprattutto, una scuola calcio popolare e gratuita, che ha rivitalizzato un giardino e un rione di Firenze. Applicando uno degli insegnamenti di Horst Wein, l’inventore della cantera del Barcellona: “Non dobbiamo portare i bambini troppo lontano dai giardini d’infanzia”. 

Il modello

Se in tanti danno poco, il club ha un futuro garantito e una base solida su cui programmare” è il modello su cui il Lebowski ha costruito tutto ciò. Un azionariato popolare che dopo la firma di Borja Valero viaggia intorno ai 1500 soci. “La nostra idea – scrivono - è che un club debba rappresentare un territorio, una comunità, e vivere del coinvolgimento del territorio stesso. Di regola, dovrebbe investire nel suo progetto sportivo non un euro in più di quanto la mobilitazione del territorio a suo sostegno gli permette. Perché questo avvenga è necessario che il Club si dimostri un punto di riferimento simbolico e materiale per la comunità.” “For the fans, by the fans” è lo slogan della campagna abbonamenti di questa stagione. Per i tifosi, dai tifosi: più chiaro di così…. Per chi non capisce, invece, hanno pensato bene di girare un video che sfida le più famose campagne pubblicitarie.

Insomma, sul piano sociale e del tifo il Centro Storico è da serie A, e ha addirittura un gemellaggio con il Colonia, in Bundesliga, la prima divisione tedesca. E su quello sportivo il progetto attuale è assolutamente sostenibile. Crescendo si vedrà, perché è sempre stato questo il vero limite dell’azionariato popolare: arrivare in alto. È una sfida, non l’unica per il Lebowski e forse nemmeno una priorità. Però questa squadra ne ha già vinte tante, e sognare non costa niente.

Da non perdere