Il fascino del Kilmarnock raccontato da Manuel Pascali

Immergersi nella storia e nella tradizione di uno dei club di culto del calcio scozzese. Lo abbiamo fatto attraverso le parole e le emozioni di chi ha vissuto da protagonista, e da capitano, la maglia del Kilmarnock.

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Siamo sempre stati abituati a raccontare il calcio in UK associandolo principalmente alla Premier League. Il campionato più importante al mondo non può però mettere in secondo piano, in terra britannica, la tradizione, la storia e la cultura del calcio scozzese.

Un'atmosfera e un modo di vivere il calcio che presenta alcune differenze con l'Italia del pallone.

Per la rubrica The Club, parliamo del Kilmarnock FC con chi con quella maglia ha scritto pezzi importanti della storia recente del club: Manuel Pascali, calciatore con una lunga carriera tra Lega Pro e, soprattutto, e Serie B, che ha indossato la casacca del Club biancoblu per 8 stagioni, dal 2008 al 2015. Un totale di 221 presenze tra campionato e coppa, indossando la fascia di capitano per diverse annate e conquistandosi, con professionalità, impegno e determinazione, un posto nella hall of fame.

Il pallone, spinto dalla vicina Inghilterra, iniziava a rotolare nelle terre scozzesi ed il Kilmarnock prendeva vita grazie all'iniziativa di un gruppo di giocatori di cricket alla ricerca di un gioco alternativo terminata la stagione. Così, nel 1873, il club prende parte alla fondazione della Scottish Football League partecipando alla prima edizione assoluta della Coppa di Scozia. 

Dei veri e propri padri fondatori protagonisti, in seguito, anche in campionato nella stagione sportiva 1895-1896.

Un primo impatto straordinario

Una società antica, gloriosa ed orgogliosa che incrociò nella sua strada, oltre cento anni dopo, il percorso sportivo di Manuel Pasquali, esattamente nel luglio 2008: “Il primo impatto con la squadra è stato in ritiro a Lucca, loro erano in Italia per preparare la stagione e sono andato, praticamente, in prova. Le prime sensazioni sono state superpositive, mi hanno accolto benissimo ed in particolare il capitano di allora, che amava l’Italia, mi ha dato il benvenuto con cori goliardici, direi “classici”. Si sono dimostrati subito aperti e disponibili nei miei confronti. Dopo quattro giorni in Italia mi hanno invitato a fare una ulteriore prova, un po’ più seria, in Scozia, di due settimane. Una volta giunto lì, pensavo solo a giocare. Vivevo nell'hotel all'interno del complesso dello stadio di proprietà del Club: la mattina facevo allenamento in campo, il pomeriggio in palestra per cercare di presentarmi al meglio e meritarmi questa importante occasione. Dopo appena quattordici giorni ho firmato. Sono stato il primo italiano nella storia ad indossare la maglia del Kilmarnock. Il tutto è stato facilitato, onestamente, dalle prime amichevoli dove ho fatto prestazioni importanti che hanno aiutato il mio inserimento in un ambiente straordinario”.

Un Paese ed un calcio completamente differente da quello al quale era abituato Manuel che però non ha trovato particolari difficoltà: “Non mi attribuisco particolari qualità se non quella di sapermi adattare ovunque, di saper stare in mezzo alla gente e di fare sempre di necessità virtù. Per questo non ho trovato particolari difficoltà nel passaggio dall'Italia alla Scozia. L’unico problematica iniziale è stata la lingua, perché lo scozzese lo paragono ad un nostro dialetto stretto e quindi era abbastanza complicato comunicare. Anche lì mi sono buttato e con il tempo sono riuscito a parlare sempre più in maniera fluente, migliorando quindi nel rapportarmi con i compagni e con tutto l’ambiente, senza mai avere particolari problemi con nessuno, anzi. Il tempo ed il clima erano oggettivamente un'incognita, considerando che noi in Italia abbiamo perennemente il sole, ma ci sta: se stai bene ti adatti a tutto”.

Investire nella comunità locale

Kilmarnock, nota con il diminutivo di Killie, è una cittadina dell’ Ayrshire Orientale, appena 44.000 abitanti, a metà strada tra Glasgow e Ayr. Una piccola grande realtà che ha un legame viscerale con la propria squadra del cuore: “Quello che mi ha fatto innamorare del Club e del calcio scozzese in generale, è la passione della gente, la sportività, la maniera con la quale vivono il calcio senza grandissimi interessi, quasi a livello “amatoriale” per certi versi. Una passione pura: vivono e respirano calcio 24 ore su 24, dimostrando una senso di appartenenza al club davvero unico”.

Il Kilmarnock Football Club è patrimonio della città e punto di riferimento dell’intera comunità.  

Con orgoglio sul sito ufficiale del Club leggiamo “Con un'eredità di oltre 150 anni, il Kilmarnock Football Club è un'istituzione scozzese vicina al cuore dei nostri fan da molte generazioni”. Tra passato, presente e futuro, i valori della squadra sono salvaguardati dal The Killie Trust, l’associazione dei supporter. Il concetto è semplice: manager, tecnici e calciatori vanno e vengono, ma i tifosi restano. Si dice spesso che puoi cambiare tutto nella tua vita, tranne la squadra del cuore. A Kilmarnock è così. Il The Killie Trust è stato fondato nel 2003 per promuovere e sviluppare il brand e le attività del Kilmarnock Football Club, dove il tifoso ha voce in capitolo nelle decisioni a livello manageriale della Società. Un modello molto diffuso nel Regno Unito come in Germania ad esempio, che consente di trasformare il club, concretamente, in patrimonio dei fan e non ad esclusivo beneficio del management.

Come detto il legame con la comunità è viscerale. Altro fiore all'occhiello del Club è il Kilmarnock Community Sports Trust, un’organizzazione di beneficenza lanciata nel 2015 che opera sul territorio seguendo le linee guida del governo scozzese in materia di politiche sociali  e quelle della Scottish Football Association (SFA). La missione è investire sulla comunità attraverso diversi progetti che toccano ambiti differenti: attività di calcio e sport inclusivo, programmi di educazione fisica e motoria all’interno delle scuole primarie, iniziative durante il match day rivolte a bambini e persone in difficoltà, progetti di educazione e formazione su più livelli. Il Kilmarnock Community Sports Trust si rivolge a persone di tutte le età dell’intera area dell'Ayrshire, coinvolgendo ogni anno oltre 3.000 persone. Lo scopo è migliorare il benessere, la salute, favorire l’integrazione di ognuno restituendo qualcosa alla comunità che ha sempre sostenuto, da 148 anni, il Club.

Un impatto incredibile del club sulla comunità locale, un legame indissolubile che vivono anche i calciatori e dal quale possono apprendere molto, come spiega Manuel: “Se mi guardo indietro questa esperienza mi ha lasciato tantissimo. Conoscere una nuova cultura ed un nuovo modo di vivere il calcio, in piena serenità e, mi ripeto, con grandissima passione. Per me che sono un “rosicone” e che ho la competizione nel sangue, quel modo di interpretare il calcio mi ha insegnato a metabolizzare in fretta la sconfitta, a guardare serenamente le prestazioni. Mi hanno trasmesso la cultura del fair play, di voler vincere a tutti i costi ma in maniera pulita, rispettare l’avversario e congratularmi con lui qualora fosse stato superiore”.

 

Un ambiente che ha effetti anche sull'uomo, non solo sull'atleta: “Come uomo mi ha portato a considerare diverse sfaccettature della vita e del mondo. Ho fatto mio il valore dell’ospitalità e dell’accoglienza. Quando sono arrivato in Scozia, avrebbero potuto trattarmi con freddezza o indifferenza, invece, mi hanno fatto sentire sin da subito uno di loro. Questa esperienza me la porto dietro ancora oggi, quando magari arriva un nuovo compagno di squadra cerco sempre di mettermi a disposizione. Gli scozzesi hanno la nostra stessa idea di famiglia, di amicizia, ma per un certo verso sono più accoglienti e meno diffidenti di noi”.

La spinta del Rugby Park e le vibrazioni degli stadi scozzesi

La chiesa al centro del villaggio Kilmarnock Football Club è il Rugby Park.

Un impianto costruito nel 1899 e che ebbe una notevole ristrutturazione nel 1994, con l’ampliamento della capienza sino a 18.128 posti. Uno stadio che ha un pizzico di Italia, in quanto, dopo la seconda guerra mondiale i prigionieri italiani contribuirono ai lavori del settore nord. Oggi il Rugby Park è un piccolo gioiello casa dei tifosi, vissuto sette giorni su sette oltre il match del weekend. La zona hospitality, nel particolare, è costituita da tre diverse aree, la 1869 Suite con una capienza di 160 persone, la Killie Club e la Legends Lounge, utilizzate sia per gli eventi istituzionali del Club che per gli eventi privati di sponsor e tifosi.

Queste le sensazioni del nostro intervistato in merito allo Stadio: “Il Rugby Park aveva un’aria magica, soprattutto nei match contro le big, era stracolmo in ogni posto, piccolino ma con 18.000 persone che ti trascinavano. Una piccola grande Bombonera, uno stadio e dei tifosi che ti caricavano a mille. Guardando fuori casa, ricordo benissimo la mia prima partita ad Ibrox Stadium, ricordo esattamente il momento in cui uscii per il riscaldamento con lo stadio vuoto. Loro hanno questa usanza di entrare all’ultimo momento, facilitati da un sistema organizzativo di ordine pubblico che funziona in maniera perfetta. Entrai in campo con un sorriso soddisfatto, quasi a dire <<ce l’ho fatta>>”.

"Venivo dal Foligno, dove comunque avevo avuto la possibilità di giocare in stadi e contro club importanti come Foggia, Reggiana, Cremonese, Venezia. Ma, questa era un’altra storia: parliamo di Ibrox con 50.000 spettatori che riempiono le tribune e le note di Simply The Best come sottofondo all’ingresso in campo. Ovviamente, ho giocato anche diverse volte al Celtic Park, mi è capitato di vincere e anche lì, atmosfera pazzesca, da brividi. Una situazione diversa rispetto al calcio italiano, non c’è il tifo organizzato vero e proprio, ma tutto il pubblico partecipa alla partita, non solo la curva, vivendo il match come un evento e non una semplice partita. L’atmosfera con noi era sempre abbastanza soft perché comunque eravamo una squadra di seconda fascia. I tifosi la vivevano in maniera easy. Però, in altre occasioni, ad esempio in Coppa dove la tensione era maggiore, ti accorgevi che la situazione intorno a te era elettrica”.

In questo contesto Manuel si è conquistato la stima dei compagni di squadra, del club e dei tifosi, che gli sono valsi la nomina di capitano, entrando nella storia anche grazie alla conquista, per la prima volta assoluta, della Coppa di Lega nel 2012 contro il Celtic nella finale di Hampden Park: “Dopo appena 8 partite disputate nel mio primo anno, a sorpresa il tecnico mi diede la fascia. Ancora lo ricordo, giocavamo ad Edimburgo contro gli Hearts, mancava il capitano per squalifica ed il vice era indisponibile. Probabilmente l’allenatore si confrontò con la vecchia guardia e mi consegnò la fascia addirittura sotto il tunnel, poco prima di entrare in campo. Una sensazione bellissima, anche perché inaspettata. Vincemmo 3-0, feci una partita straordinaria, caricato proprio da questo evento che mi riempì di orgoglio. Successivamente, divenni capitano del club, ufficialmente due anni dopo, indossando la fascia sino alla mia permanenza in Scozia”.

Un’altra dimensione

Le parole di Manuel Pascali ci proiettano probabilmente in un’altra dimensione, perciò vogliamo capire da lui cosa potremmo importare nel nostro calcio: “Credo che come in ogni cosa il giusto mix, l’equilibrio sia la soluzione ideale. Quello che dovremmo importare è sicuramente il concetto di sportività. Ho avuto casi dove miei compagni hanno avuto atteggiamenti antisportivi e sono stati fischiati. Io stesso una volta andai a chiedere il rosso per un mio avversario e venni “pizzicato” dalla mia tifoseria. Loro su questo sono abbastanza estremisti. Allo stesso tempo hanno un enorme rispetto, sia del calciatore che dell’uomo: ho sempre girato liberamente in città con la famiglia ed ho riscontrato nei fan un grande rispetto dei miei spazi e del mio tempo, a volte, addirittura, quando qualcuno mi riconosceva per strada, ero io a far un passo verso di loro proprio per fargli capire che non mi disturbavano”.

Chiudiamo con una riflessione: “Vivono il calcio in maniera più serena, senza l’assillo dei risultati, almeno nella realtà che ho vissuto con il Kilmarnock FC. Oggi vedo e leggo la polemica con Donnarumma per il sorriso a fine partita con Reina, suo ex compagno di squadra e probabilmente amico: vedo tirarne fuori un caso e tutto questo è assurdo, perché non sappiamo il contesto, non sappiamo nulla. Per carità c’è stata una brutta sconfitta, ma nessuno può entrare nei dettagli di un qualcosa che non sa. Come, magari, è assurdo colpevolizzare un ragazzo che dopo un risultato negativo va a mangiare una pizza fuori. I tifosi del Kilmarnock non lo facevano mai, anzi il sabato quando capitava di andare a mangiare fuori dopo la partita con i compagni, i tifosi ti cercavano di coinvolgere nella loro serata, senza pensare che se bevessi un bicchiere di più questo potesse pregiudicare le tue prestazioni". 

In chiusura Manuel ci dice che è "un'esperienza che consiglio a tutti, ti fa capire che l’Italia è un paese stupendo ed unico al mondo ma anche capire ciò che funziona e che non funziona, noi come popolo ognuno di noi potrebbe fare qual cosina in più sia nel calcio che nella vita“.

Questo è il Kilmarnock Football Club, raccontato da chi ha vissuto da protagonista questa squadra unica. 

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