Da modello a vittima di guerra: la triste fine della Donbass Arena

La storia di uno degli stadi più caldi e innovativi dell'Ucraina, tra restyling e riparazioni anche l'impianto dello Shakthar tra le vittime della guerra.

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Un massacro ignobile e perdurante. La guerra in Ucraina ha minato la sopravvivenza di migliaia di persone, mettendo in ginocchio un intero paese sotto ogni punto di vista.

Naturalmente non poteva che essere coinvolto anche l’ambito sportivo, con tutte le discipline che sono state sospese per settimane.

Un conflitto che, tuttavia, affonda le sue origini già ben prima dello scorso 24 febbraio e che ha presentato un conto salatissimo non solo per quel che riguarda le tantissime vittime, ma anche in termini di danni infrastrutturali. Uno degli esempi più tristi, in tal senso, è rappresentato dalla Donbass Arena di Donetsk.

Le origini

La casa dello Shakhtar Donetsk fu un modello, un impianto storico; fu il primo dell’Europa orientale a soddisfare i criteri della categoria 4 della UEFA.

La sua realizzazione venne pensata in vista della candidatura congiunta fra Ucraina e Polonia per gli Europei del 2012. Il polivalente stadio Šachtar, infatti, non venne ritenuto adatto a un simile evento, neanche dietro ingenti lavori di ammodernamento.

Si decise di fare le cose in grande: la Donbass Arena (letteralmente Arena del bacino del Donbas, dove sorge Donetsk) è stata progettata dalla ArupSport Company, la stessa da cui sono nati i concept per l’Etihad di Manchester e per l’Allianz Arena di Monaco di Baviera.

I lavori di costruzione iniziarono nel giugno del 2006 e furono ultimati in tre anni per un progetto finale da circa 46mila posti (poi divenuti oltre 52mila) disposti su tre anelli, con il campo attaccato agli spalti.

Molte furono le interessanti e innovative caratteristiche del gioiellino dello Shakhtar, a partire dalla sua copertura in vetro di 24 mila metri quadri.

La DonBass Arena era anche dotata di un’illuminazione esterna molto affascinante che gettava una cascata di luce sulla caratteristica fontana posta a fianco dell’impianto.



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Uno stadio bellissimo sì, ma anche funzionale: per migliorare il confort dei tifosi, in una terra il cui l’inverno non perdona, fu anche ideato un sistema di riscaldamento a infrarossi.

Nulla fu lasciato al caso, il che comportò una spesa ingente per realizzare un’Arena così performante: oltre 315 milioni di euro.

La chiusura del 2014

Tutto, però, è letteralmente andato in fumo da tempo: il 23 agosto del 2014 due ordigni, esplosero nelle sue vicinanze.

Erano le prima avvisaglie delle tensioni militari tra forze governative ucraine e miliziani filorussi e Donetsk ne fu investita in pieno. La città del Donbass sin da allora era considerata la roccaforte dei ribelli filorussi nell'est del Paese.

Per evitare problemi, già qualche settimana prima dell’attacco al proprio stadio, lo Shaktar si trasferì a Leopoli.

I danni subiti nel 2014 furono letali per l’impianto: lo stadio dello Shakhtar venne pesantemente colpito nel lato nord-ovest, con il conseguente crollo nella facciata.

Gravissimi furono anche i problemi al sistema energetico, così come sembrò subito irrimediabile la situazione di alcuni dei pilastri portanti dell’impianto.

Dell’inaugurazione in grande stile di cinque anni prima non rimase che il ricordo: la DonBass Arena venne ritenuta non più agibile.

Tutti gli spostamenti dello Shakhtar

Come detto, l’allora squadra di Mircea Lucescu, ultimo allenatore dello Shakhtar a entrare nella DonBass Arena, si era trasferita a Leopoli, all’Arena L’viv, già prima dell’attacco alla propria casa.

Per due anni e mezzo, fino alla metà della stagione 2016-17 fu quella la nuova sistemazione del club di Donetsk.

Il peggiorare del quadro politico dell’Ucraina dell’est spinse tuttavia lo Shaktar ad un nuovo trasferimento verso la zona centrale del paese, che chiese dimora alla città di Charkiv.

Venne messo a disposizione lo stadio Metalist, dove fra le altre giocò l’Atalanta nella Champions League 2019-2020.

Anche questa fu una soluzione temporanea: già all’epoca molti calciatori del club vivevano a Kiyv, ritenuta la zona allora più tranquilla di un paese in cui i venti di guerra iniziavano a farsi sempre più forti.

Dall’estate del 2020, infatti, lo Shakhtar traslocò definitivamente nella capitale dell’Ucraina, giocando le proprie gare interne allo stadio Olimpico.

La novità degli ultimi giorni, infine, è la scelta del club di indicare lo Stadion Wojska Polskiego di Varsavia come impianto casalingo per la prossima UEFA Champions League.

Gli stadi ucraini infatti al momento non possono ospitare partite internazionali a causa delle ostilità scatenate dal conflitto e così lo Shakhtar ha stipulato con il Legia un accordo di locazione, in un anno in cui il club polacco non parteciperà ad alcuna competizione continentale.



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La guerra

Le speranze, seppur minime, di tornare alla Donbass Arena sono definitivamente andate in frantumi con lo scoppio della guerra totale fra Russia e Ucraina dello scorso 24 febbraio.

E se stavolta il conflitto si è esteso all’intera nazione presieduta da Volodymyr Zelens’kyj, è chiaro che nella zona del Donbas la situazione sia ancora più difficile.

Dopo circa un mese di bombardamenti, alcune fonti filo-russe hanno reso noto come lo stadio dello Shakhtar avesse subito ulteriori danni a causa di un attacco dalle forze armate ucraine.

La situazione geopolitica, naturalmente, rende difficile l’accertamento della situazione legata all’impianto che, tuttavia, dopo otto anni e diverse deflagrazioni sarà ormai impossibile da rimettere a nuovo.

Un disastro nel disastro, che certifica la triste fine di uno stadio un tempo considerato modello e che, appena un decennio fa, viveva la gloria di una semifinale di un Europeo.



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