Profili | Daniele De Rossi, al di là del risultato

Per capire un calciatore, basta osservarlo in campo, per capire un uomo, non basta fare scroll tra i post sui suoi profili social.

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È il minuto 95 del match di Coppa Italia tra Roma e Spezia, dopo la doppia espulsione di Mancini e Pau Lopez, il tecnico della Roma Fonseca effettua un doppio cambio mettendo dentro Ibanez ed il portiere di riserva Fuzato.

Una situazione di emergenza improvvisa che manda in confusione la panchina giallorossa che effettua contemporaneamente il quinto e sesto cambio. Un errore imperdonabile visto che il regolamento prevede 5 cambi in 3 slot (escluso l’intervallo) ed un quarto in caso di supplementari. Un errore che sembra notare il solo Lorenzo Pellegrini, ma è troppo tardi. La Roma perderà in campo 2-4 e 0-3 a tavolino per errore tecnico.

Il giorno dopo scoppia la bufera sul club giallorosso ed a farne le spese sono due dirigenti, tra cui Gianluca Gombar, giovane team manager. Dopo il licenziamento sono stati tantissimi i messaggi di sostegno e solidarietà degli stessi calciatori della Roma verso Gombar, ma il supporto è arrivato anche da Daniele De Rossi che ha voluto omaggiare con un bellissimo post l'ex collaboratore.

Il team manager è il ruolo societario più vicino alla squadra, vive il gruppo tutti i giorni ed è il tramite diretto tra l’umore dei calciatori e le aspettative del club. De Rossi spesso si è trasformato in un vero e proprio scudo per i compagni, a difesa della squadra che ha rappresentato in campo e, molte volte, anche fuori, come in quest'ultima pubblica difesa.

Il valore di un atleta viene ricostruito da ciò che accade in campo, dai risultati e dai trofei conquistati, dai traguardi raggiunti. Daniele De Rossi ha oggettivamente vinto poco (2 Coppe Italia ed una Supercoppa Italiana), collezionando 459 partite con la Roma e 117 con la Nazionale, esperienza alla quale si aggiunge quel Mondiale vinto nel 2006 che lo rende eterno ed etereo nella storia della maglia azzurra. Le foto delle sue esultanze la sera del 9 luglio sono e saranno sempre custodite gelosamente nel Museo del Calcio di Coverciano, insieme alla maglia e agli scarpini usati da Fabio Cannavaro nella finale.

Roy Keane come idolo e quel numero 16 indossato sulle spalle. Paragoni che si sono sprecati con fenomeni come Lampard e Gerrard, sino alla sua evoluzione da play basso, qualità e quantità al servizio dei compagni. Da quel 30 Ottobre 2001, giorno del suo esordio assoluto tra i grandi contro l’Anderlecht allo Stadio Olimpico in Champions League, la carriera di De Rossi ha vissuto di alti e di bassi, come quella di tanti romani e romanisti.

Un'altalena sulla quale è voluto salire giurando amore eterno alla Roma per 25 stagioni, più i 6 mesi al Boca. Tre maglie, aggiungendo quella azzurra, per un solo uomo.

Il calciatore si misura con i trofei, l’uomo invece può essere ritratto analizzando alcune sue dichiarazioni che ne hanno mostrato, conferenza stampa dopo conferenza stampa, la personalità ruvida e genuina.

Definiamo i contorni dell’umanità e dell’uomo De Rossi attraverso cinque suoi passaggi che lo rappresentano.

1. ONESTÀ

"Il mondo è cambiato, non solo il calcio. Che fai, te la prendi con i giovani calciatori? Lasciali stare, che ci vuoi fare? A volte danno fastidio pure a me quando li vedo. Quando fanno la diretta Instagram dallo spogliatoio prima della partita io gli darei una mazzata da baseball sulla bocca. Ma hanno 18 anni e tra venti anche loro si ritroveranno quello di 18 anni che farà un'altra cosa per cui diranno: "Ma dai, quando eravamo giovani noi c'era De Rossi che ci faceva a pezzi se avessimo fatto una cosa così". A volte noi calciatori facciamo un po' di populismo, di chiacchiere. Frasi come: "Il nostro non è un lavoro, i veri eroi sono quelli che si alzano alle 5 di mattina per andare a lavorare"... Sì è vero, vabbè, ma basta dirlo"

Partiamo dall'onestà intellettuale.

Questo è il termine che per primo viene in mente leggendo queste parole di DDR. Analizzare oggettivamente i fatti, riconoscendo i limiti di una nuova generazione ma, al tempo stesso, le naturali differenze che ci possono essere tra uno nato nel 1983 e il mondo dei millennials. Il mondo va avanti e  cambia, inesorabile.

È fisiologicamente naturale, storicamente inevitabile.

"Ma hanno 18 anni e tra venti anche loro si ritroveranno quello di 18 anni che farà un'altra cosa per cui diranno: "Ma dai, quando eravamo giovani noi c'era De Rossi che ci faceva a pezzi se avessimo fatto una cosa così"

De Rossi parla dei social invocando un certo equilibrio. Lui stesso, da poco sbarcato ufficialmente con il suo profilo Instagram, evidentemente ne apprezza in parte l’utilità e la necessità in quanto personaggio pubblico. Per rafforzare il concetto, in un’altra intervista, sottolineerà come "non vede del male nei social, ma nel fatto che possano diventare una ragione di vita". E in fondo, come dargli torto?

La critica si focalizza sull'apparire anziché sull'essere in maniera incondizionata. C’è una certa coerenza in questa affermazione, in questo modo di pensare, soprattutto perché nell'arco della sua carriera spesso e volentieri De Rossi baderà poco all'apparenza e molto di più alla sostanza, nel bene e nel male.

Il passaggio successivo della nostra analisi non può che essere quel viscerale amore verso l’AS Roma. L’elemento che monopolizza il suo profilo sportivo e umano. Cerchiamo di racchiuderlo ed iodurlo con una sua dichiarazione che resterà per sempre nei cuori dei tifosi giallorossi.

2. UNICO AMORE

Un virgolettato che ne descrive alla perfezione il senso di appartenenza, anzi, sarebbe più opportuno dire di attaccamento.

Nei 25 anni con la maglia della Roma ha probabilmente mostrato a tutti cosa significhi per un professionista giocare per la squadra di cui è tifoso. Un compito difficile di per sé, ancor più complesso in una città come Roma, dove il tifoso passa velocemente da stati di esaltazione assoluta all'improvvisa depressione nel giro di pochi giorni, a volte ore. Si è scontrato spesso, non solo mediaticamente, con la sua città ed i suoi tifosi. Si è dovuto difendere dalle pressioni delle “famose” radio romane piuttosto che dalle asserzioni esterne sul dualismo con Francesco Totti.

De Rossi, ha sempre detto la sua fuori dal campo. Nel rettangolo verde, invece, quando ce n'era bisogno ha sempre dimostrato la sua passione e il suo orgoglio giallorosso. Dirà, dopo una vittoria netta contro il Chelsea in Champions, di ringraziare di essere romanista anche e soprattutto dopo una sconfitta per 7-1. E proprio in quella tragica partita all'Old Trafford che l’amore di De Rossi per la Roma venne espresso in campo nella sua forma più romantica: sul 6-0 per lo United, Daniele fu l’unico che continuò a lottare, pressare, rincorrere e spingere sino all'area di rigore avversaria.

Nonostante tutto, al di là del risultato.

Atteggiamento, dichiarazioni e fatti. Tutto ciò utile a rimarcare il sentimento puro per il suo Club. Un amore viscerale. Le esultanze, lo stemma baciato più volte, farsi trascinare dall'esplosione di gioia e quel agitare in maniera “violenta” le braccia in segno di esultanza, tipico del calcio argentino che lo accoglierà a fine carriera.

Il 26 Maggio, nella conferenza stampa di addio a Trigoria, De Rossi affermò che sarebbe potuto accadere, un giorno, di incontrarlo in Curva Sud, con panino e birra in mano, a tifare la sua squadra del cuore.

Detto, fatto! De Rossi pochi mesi dopo vivrà il derby della Capitale in curva allo Stadio Olimpico, come un tifoso qualsiasi, cantando ed incitando gli ex compagni. Il tutto, avvenne grazie ad un travestimento “cinematografico”, svelato pochi giorni dopo dalla compagna Sarah Felberbaum, attraverso un timelapse pubblicato su Instagram. L’ennesima dimostrazione d’amore verso la sua Roma.

Nelle vittorie e nelle sconfitte, ma anche su temi di rilevanza sociale, ha sempre detto la sua nel limite della sua posizione e ruolo. Non si è mai tirato indietro, mettendoci la faccia, cosa non scontata nel mondo del calcio, dove molti sono attenti alle parole e preferiscono risposte automatiche come fossero un chatbot.

3. SCHIETTEZZA

“Sono contrario, non mi piacciono le schedature. In alcuni casi viste le ultime vicende forse servirebbe anche la tessera del poliziotto. Non credo che questa possa essere la soluzione del problema: chi va in giro con un coltello in tasca e lo usa per colpire un'altra persona non sta bene, non è uno normale, così come non sta bene neanche un poliziotto che prende a calci un ragazzo che non c'entra nulla

Una dichiarazione che destò molte polemiche, provocò una facile quanto automatica dietrologia ma che in fondo regalò a tutti noi un ulteriore tassello della sua personalità.

Calciatore vicino alla gente, al pubblico, a quei tifosi che spesso e volentieri vengono gettati in un unico calderone con i violenti. Questa dichiarazione divise: attirò su di sé la diffidenza delle istituzioni ma conquistò il cuore di molti appassionati. Forse è in questo esatto momento che De Rossi inizia ad essere “patrimonio” del calcio italiano piuttosto che esclusiva romana, sponda giallorossa.

Una persona che ragiona e parla di problemi del suo mondo da una angolatura diversa, senza sviare la domanda ed offrendo il suo parere. Una dichiarazione fuori dal sistema che lo avvicina al mondo dei tifosi.

4. VERGOGNA

Fonte: sisal.it

“Me ne vergogno, non sono una carogna, non rosico se qualcuno mi supera e non colleziono cartellini rossi. Anche da piccolo non ero un attaccabrighe, ma non sopporto che qualcuno mi stringa, mi trattenga, mi tocchi. Mi dà fastidio, non ci vedo più, mi si gonfia la vena. Dallo psicologo non ci sono andato e non faccio il duro che disprezza quello che passa nella testa, voglio tenermi a bada. Reagisco poco e se lo faccio, faccio male

Misuriamo i calciatori con le vittorie e gli uomini osservandoli nella gestione dei momenti critici. 

Si gioca Italia–Stati Uniti, il risultato è di 1-1 grazie al vantaggio di Gilardino e all'autogol di Zaccardo. È appena il 27’ del primo tempo della seconda partita del Mondiale azzurro. Un’azione delle tante, il pallone si alza a centrocampo e, con una inspiegabile follia, De Rossi colpisce l’avversario con una gomitata all’altezza del viso. Il rosso diretto dell’arbitro, l’espressione paradossalmente incredula di un giovane De Rossi ed il sangue sul volto di McBride sono immagini che noi tutti abbiamo ancora dentro. Al termine del match dirà quelle parole che non lesinando di mostrare autocritica e vergogna.

Un passaggio essenziale della sua carriera, che poteva trasformarsi in un colpo  tremendo. Così non è stato, il tutto, ad oggi, diviene metafora della sua storia. L’errore e la capacità di scusarsi, l’istinto e la ragione. Un flusso di coscienza e a tratti un processo di redenzione che lo fece soffrire molto, tra le critiche giuste ma troppo aggressive della stampa. Un episodio che lo “aiutò”, però, a mostrarsi per la prima volta per quello che è: un genuino.

Le partite vissute in tribuna sino al rigore calciato in finale con la Francia. Ci vuole coraggio per presentarsi sul dischetto, ci vuole personalità per soffrire in silenzio e mettere la palla sotto l’incontro di potenza mentre il mondo ti guarda e l’Italia spera. McBride dopo il match, in realtà, lo aveva già perdonato: “Non ho sentito niente, in faccia ho sette placche di titanio. Tutto passato, De Rossi ha mostrato classe venendosi a scusare”.

La stessa classe che riconosceranno i calciatori della Svezia, quando, quasi sbalorditi, si ritrovarono De Rossi sul loro pullman pronto a scusarsi per i fischi all'inno svedese nello spareggio mondiale a San Siro contro l’Italia.

Un capitano a prescindere dalla fascia al braccio. Un leader al di là della maglia indossata. Un uomo tra limiti e virtù. 

Tracciamo il suo profilo a livello di comunicazione, ma in fondo, i gesti, le azioni, sono quelle che contraddistinguono un uomo.

5. PASSIONE

Fonte: eurosport.it Credits Getty Images

Non è voler fare i ruffiani, perché non mi piace, ma la cosa più bella è ciò che vedi sugli spalti. È un calore che noi non abbiamo più in Italia, è passione pura e disinteressata. La Bombonera è lo stadio più assurdo e clamoroso del mondo, auguro a tutti gli appassionati di poterlo visitare durante una partita del Boca. Io mi sento un privilegiato ad averci giocato, anche se è durato poco

Un passaggio, pronunciato ai microfoni di Sky dopo il ritorno dall'esperienza argentina al Boca Juniors che ne racconta tutta la sua passione per questo sport.

Essere tifoso prima che professionista, essere un vero e proprio amante del calcio e poi calciatore. Un passaggio rischioso, coraggioso per due motivi: il primo, misurarsi in un campionato completamente diverso; il secondo, indossare una nuova maglia andando ad interrompere (se pur solo per pochi mesi) quel legame unico con la Roma.

Una sfida, però, fortemente voluta per realizzare quel suo sogno sempre cullato, salire le scalette della Bombonera. Un sogno realizzato, un legame incredibile con una terra che lo aveva sempre attirato e con quei tifosi calorosi come non mai.  Un ambiente adatto ad un combattente come lui, una storia che conclude una straordinaria carriera, un capitolo che ne chiude alla perfezione un libro fatto di passione e perseveranza.

De Rossi al Boca Juniors è un fenomeno mediatico che coinvolge non solo i tifosi Xeinezes ma tutto il sistema del Fútbol argentino. Interviste, articoli, approfondimenti dei media argentini ne sottolineano l’umiltà e la grinta. In fondo, poteva andarsene e chiudere la carriera negli States con un contratto importante ma ha preferito soddisfare il suo istinto e vivere una esperienza unica.

Di lui in particolare colpirà una cosa che manderà “fuori di testa” i giornalisti argentini. De Rossi pochi giorni dopo esser sbarcato a Buenos Aires, effettuerà le sue interviste in spagnolo, esattamente castellano. Un segno di profondo rispetto per il Paese che lo ha accolto, così come i tifosi, gli avversari e tutto il mondo del calcio argentino. Un dettaglio non da poco, così come saranno evidenti il suo imbarazzo e la sua emozione, nell'incontrare Diego Armando Maradona. Dall'esperienza argentina uscirà un ulteriore lato umano di De Rossi, probabilmente ancor più libero e puro, lontano dalle pressioni di Roma.

Molti parlano di una delle ultime bandiere, se non l’ultima. De Rossi è stato icona in primis della Roma, così come lo è stato Totti. Apprezzato dai tifosi, non solo per il suo essere romano e romanista, ma anche per i suoi errori, per essere così umano, romanista, nel bene e nel male.

Il tifoso ama santificare e condannare, per poi perdonare. Roma è città passionale, vive il calcio in maniera unica, in alcuni casi è spietata ed in questo contesto De Rossi è emerso prima come calciatore, poi, come uomo.

Potremmo parlare di coerenza per indicare il filo conduttore della sua carriera e del profilo che abbiamo provato a tracciare, ma non è esattamente ciò che vogliamo evidenziare. Piuttosto consapevolezza è il termine (e il valore) che secondo noi emerge: trasparente, diretto nel dialogo, nell'ammissione degli errori, nella dedizione, anima e corpo, alla sua Roma, nel voler realizzare i suoi sogni, nel presentarsi sul dischetto di quel Mondiale 2006 con rabbia, coraggio e appunto, consapevolezza.

Tre caratteri distintivi del Profilo di Daniele De Rossi.

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