Storia del calcio (snobbato) alle Olimpiadi

L’evento sportivo più importante e lo sport più amato non sono mai stati in sintonia. E l’assenza di troppi campioni non rende il torneo di calcio olimpico un appuntamento imperdibile per i tifosi.

Immagine articolo

Nel grande fermento per l’inizio delle Olimpiadi di Tokyo 2020, dicitura che permane (nonostante sia l’estate 2021) per ragioni di marketing, ci stiamo scordando ancora una volta del torneo di calcio. Non sembra qualcosa che facciamo volontariamente, anzi: l’argomento sarebbe più che mai di interesse nel nostro paese dopo la conquista dell’Europeo. La verità è che nel corso degli anni è risultato sempre più difficile considerare, per varie ragioni, il torneo di calcio olimpico come un “secondo Mondiale”, fino quasi a snobbarlo. Una perdita di appeal che ha diverse ragioni.

Sacrificio necessario

In assoluto, i Giochi restano triturati tra mille e sempre nuove manifestazioni internazionali, solo nel 2021 gli Europei e la Coppa America. Poi ci sono i Mondiali e la Nations League, mentre prima esisteva la Confederations Cup. In più, diverse squadre europee in questo periodo sono già nel vivo della stagione perché stanno provando a qualificarsi alle coppe, anche queste cresciute di numero: Champions League, Europa League e la nuova Conference League.
Guardando a noi, è legittimo credere che la lunga latitanza dell’Italia non abbia fatto bene. Siamo la Nazionale con più partecipazioni al torneo di calcio olimpico, 15, ma anche quella che ha perso più volte (23). Non ci siamo qualificati per Londra 2012, Rio 2016 e nemmeno a Tokyo 2020. In campo femminile (cioè dal 1996) non abbiamo nemmeno mai partecipato. Non siamo l’unico tra i paesi più competitivi ad aver patito questa sorte, tant’è che – nel pieno continuum dello spirito olimpico – il calcio ai Giochi ha spesso raccontato storie di riscatto anziché confermare i valori iniziali.

L’edizione 2021 non ha fatto eccezioni, almeno nella sua giornata inaugurale: Spagna fermata dall’Egitto, Francia sconfitta (4-1) dal Messico (ecco, loro brillano sempre alle Olimpiadi), l’Argentina dall’Australia, per fare alcuni esempi.

Una relazione complessa

Ci sono situazioni, nella vita, in cui le vie di mezzo non esistono. La vita di palazzo ragiona allo stesso modo, nonostante sia burocratizzata. Le Olimpiadi rappresentano l’evento sportivo più importante del mondo; il calcio, invece, è lo sport più popolare, amato, praticato (e ricco). Le due realtà hanno provato a andare d’accordo, si sono annusate, specie in passato, ma non hanno mai legato più di tanto. E infatti se pensiamo ai Giochi il calcio è sicuramente una delle ultime discipline che ci viene in mente.

Le polemiche iniziavano già all’inizio dello scorso secolo con il conflitto tra dilettantismo e professionismo, già dilagante nel football. Per questa ragione nel 1912 il Comitato olimpico internazionale (Cio) aveva ancora dei dubbi riguardo l’ingresso del calcio, un gioco (e non una disciplina) che aveva perso la sua “purezza e nobiltà”. La presenza dei soli dilettanti “rovinava” però in qualche modo lo spettacolo ai tifosi e se a questo aggiungiamo che nel 1930 nasce il Mondiale della Fifa si fa presto a capire come mai l’interesse per il calcio ai Giochi sia stato messo in un angolo.

Inoltre, c’era da fare i conti con le differenze tra i paesi, con il “Dilettantismo di stato” di alcune zone tra le quali il blocco sovietico.  Ovvero quelle Federazioni che, sulla carta, dilettantistiche avevano la possibilità di competere con gli elementi migliori, mentre quelle che ammettevano il professionismo si vedevano costrette a rinunciare ai giocatori più forti. Tant’è che, dalle Olimpiadi del 1948 a quelle del 1980, 23 delle 28 medaglie assegnate finirono al collo dei calciatori di Nazionali dell’Europa orientale.
A quel punto, dall’edizione del 1984, si optò per un cambio del regolamento, abolendo la differenza tra dilettanti e professionisti. Cio e Fifa decisero che le Nazionali potevano schierare solo quei giocatori che non avessero mai partecipato a una partita delle qualificazioni o delle fasi finali della Coppa del Mondo. Ancora una volta, i Giochi restano in secondo piano, privati dei veri campioni. Si vedranno ragazzi anche giovanissimi, ma in ogni caso l’intervento basta a ridurre e quasi interrompere il dominio del blocco dell’est.

L’ultima modifica – ancora in vigore – riguarda invece l’età. Dal 1996 il torneo olimpico di calcio altro non è che un Mondiale U23. Ogni commissario tecnico ha la possibilità di includere in rosa anche tre fuoriquota, ma non sempre è semplice portare i più forti, tra i rifiuti dei top player e le barricate dei club.

Insomma nel calcio, a differenza dell’atletica e di tanti altri sport, vincere le Olimpiadi non è il sogno di ogni bambino e bambina che inizia a giocare. Un’altalena storica che ha fatto sì che alcuni campioni come Ronaldo o Messi partecipassero ai Giochi mentre altri, come Maradona e Pelè non abbiamo mai preso parte alla regina delle manifestazioni sportive.

L’oro dell’Italia

La selezione azzurra, comunque, è riuscita a vincerle almeno una volta. Era il 1936, le olimpiadi hitleriane di Berlino. Il secondo grande successo di Vittorio Pozzo. “Tanto prestigioso quanto imprevedibile” scrive la FIGC, ricordando una selezione formata da studenti universitari (21 anni l’età media) che non erano mai stati in serie A. L’Italia ha superato gli Stati Uniti, il Giappone e poi la Norvegia in semifinale. Il 15 agosto a contendere all'Italia l'oro olimpico di fronte ai 90mila spettatori dell'Olympia Stadion fu l'Austria. Fu anche l’occasione per verificare che la divisione tra dilettanti e professionisti esisteva solo di fatto. Diversi club retribuivano comunque i tesserati, sotto forma di rimborso, con degli assegni di studio. 

Ma se le regole moderne hanno scacciato un po’ di ipocrisia, la sostanza non cambia: il grande calcio è fuori dai Giochi, quelli con la G maiuscola.

 

 

Da non perdere