Nicoletta Vittadini (Unicatt): "L’importanza di Instagram per raccontare l’identità di un club”

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Che cosa i club e i giocatori devono raccontare attraverso i social, come si costruisce un personaggio sportivo sul web, il ruolo del social media manager nel calcio. Abbiamo affrontato questi e altri temi con la professoressa Nicoletta Vittadini, docente di Web e Social Media e direttore del Master in Digital Communications Specialist all’Università Cattolica del Sacro Cuore.

La rete, i social… parliamo di strumenti che vanno gestiti in modo professionale affinché possano rivelarsi efficaci. Le squadre della nostra Serie A a che punto sono nella gestione dei loro canali social?
Ci sono alcune squadre che sono già ad un livello alto di gestione della comunicazione attraverso i social network. La piattaforma di base è sempre rappresentata da Facebook, però quella più di frontiera in questo momento è Instagram. Su questo social i club che occupano le prime posizioni nella classifica di serie A, ad esempio, sono già presenti non soltanto nella forma della diffusione di immagini relative ai giocatori e alle performance sportive, ma anche in una modalità particolarmente interessante che è rappresentata dalle Instagram Stories, utilizzate per raccontare gli eventi sul territorio cui partecipano i calciatori. Parliamo di incontri con i ragazzi, con i giovani atleti e di altri momenti che si svolgono al di fuori delle performance sportive e magari anche al di fuori di quelli che sono i grandi eventi coperti  dai media tradizionali. Questo uso che si fa di Instagram è particolarmente interessante: è chiaro che essere presenti su Facebook o su Twitter con le comunicazioni sui grandi temi delle performance sportive, dei calciatori, del calciomercato ecc., sono le attività di base che complessivamente tutte le squadre svolgono. Il passo in più invece è riuscire ad arrivare a raccontare sui social tutto il resto del mondo legato al club, un mondo fatto anche di attività sul territorio che possono essere ben raccontate sulle storie di Instagram, un mondo fatto di valori e identità che possono essere ben raccontate anche sulle altre piattaforme.

Quanto è importante per gli sponsor che una società sappia comunicare i valori dello sport?
È assolutamente fondamentale. Nel momento in cui un club comunica attraverso i social media  attiva tutta una serie di relazioni che fanno sì che si vada molto al di là del rapporto con i media tradizionali, i quali arrivano a un pubblico ampio e spesso generalista. I social invece sono canali che permettono al club di entrare direttamente in relazione con gli sponsor, anche con il territorio, ad esempio con il comune di appartenenza. Pensiamo che non esistono solo le grandi metropoli (Milano, Roma, Napoli), ma ci sono anche città più piccole che hanno un rapporto stretto con la propria squadra, più stretto di quello che si può avere in una grande area metropolitana. Siamo quindi di fronte ad una rete di relazioni molto più complicata rispetto a quella rappresentata dal pubblico dei media. E’ importante che i club riescano a raccontare a ciascuno di questi interlocutori la propria identità, la propria storia: le società italiane, non soltanto quelle che comandano la classifica del campionato, hanno spesso una lunga storia, hanno una tradizione di formazione di atleti, svolgono attività vicine al territorio e con questi racconti possono avere occasione di valorizzare la loro identità. Raccontarsi è importante per gli sponsor, che sempre più spesso si informano attraverso i canali social, ma anche per le persone che vivono nel territorio e per quella molteplicità di soggetti, pubblici e privati, che possono trovare nel club sportivo un interlocutore con cui sviluppare progetti.

Dietro alle strategie social delle squadre di calcio, oltre a far cresce il senso di appartenenza dei tifosi, ci sono nuove possibilità di business. Si può dare un valore economico agli account delle squadre di calcio e dei loro giocatori?
Certo, c’è un valore economico. Questo valore è dato dalla possibilità di raggiungere degli interlocutori con cui portare avanti progetti che generano introiti per la società. E poi c’è un valore economico collegato alla reputazione della squadra che cresce attraverso quello che riesce a comunicare dei successi, dell’identità della squadra e dei suoi atleti. Questa reputazione fa sì che il club possa porsi con un valore più alto nel momento in cui tratta una transazione commerciale per una sponsorship o per una attività anche culturale.

E i calciatori? Il recente caso Nainggolan farà scuola, o almeno lo speriamo: si può quantificare il danno reputazionale che il giocatore ha arrecato a se tesso e alla società di appartenenza?
Il danno reputazionale è serio, perché ogni giocatore rappresenta anche l’identità della squadra per cui gioca. E’ chiaro che è difficile impedire a un calciatore di utilizzare il proprio profilo social per comunicare qualche cosa nel momento in cui decide di farlo. Il profilo social è una finestra verso il pubblico e quindi quello che si comunica attraverso essa non è esattamente una attività privata. Invece la percezione che il calciatore ha di quello spazio è di uno spazio suo, privato, personale, dove può fare quello che vuole. Questo è l’oggetto di un’attività di formazione che va fatta presso gli sportivi. La stessa formazione che va fatta presso tutti coloro che lavorano all’interno di una struttura e che hanno un profilo social. Un profilo social non rimane mai confinato all’interno di una stretta cerchia di persone e quindi va usato esattamente come i media tradizionali: quello che un giocatore può dire in una conferenza stampa è quello che dovrebbe scrivere su un profilo social, quello che direbbe a un giornalista è quello dovrebbe scrivere anche sui social. Dopo di che è chiaro che i calciatori hanno anche una loro immagine al di là della squadra. Dunque il danno reputazionale non è soltanto per la società, ma anche per il singolo giocatore che ha una carriera e una reputazione da gestire e mantenere anche considerando future squadre che possono ingaggiarlo. Su questo va tenuto presente poi che, mentre sul territorio nazionale si è molto più indulgenti verso alcune dichiarazioni o verso quello che accade sui social media, si tende cioè a minimizzare, fuori dai confini dell’Italia le cose non vanno proprio così. I team internazionali guardano molto a quello che succede sui social e quanto un giocatore può essere rappresentativo della squadra o no. Quindi pensando al caso specifico (di Nainggolan, ndr), per il quale si sono fatte anche tante ipotesi di una carriera a livello internazionale, non è da sottovalutare questo aspetto.

Come si costruisce un personaggio sportivo all’interno della rete?
Si costruisce anche attraverso delle tecniche tradizionali di storytelling: attraverso il racconto biografico, attraverso la narrazione della sua carriera e delle sue attività extra-sportive, dei valori che ne rappresentano l’identità. Si costruisce attraverso l’uso differenziato delle varie piattaforme, declinando questi contenuti in modo appropriato ai diversi canali digitali: la news è più tipica di Twitter, l’animazione del racconto a livello esperienziale appartiene più a Facebook. Sono tutte narrazioni che devono avere una coerenza al loro interno e devono comporre un mosaico che corrisponde all’identità dello sportivo, perché il pubblico che lo segue si muove trasversalmente su diverse piattaforme.

Quali sono i valori che dovrebbe trasmettere la pagina social di un calciatore?
Sono i valori legati allo sport che rappresenta, quindi i valori della competizione,  i valori che possiamo associare alla performance, la costanza e la coerenza della preparazione, il lavoro di squadra, la correttezza nel momento in cui svolge l’attività sportiva. Al di là di questi, ci sono poi tutti gli altri valori legati all’attività sportiva sul territorio, alla valorizzazione del talento dei giovani e all’impegno che il singolo sportivo può avere in iniziative di solidarietà sociale. Gli sportivi sono identificati come persone di successo e quindi il valore tipico dello sport è la restituzione al resto della comunità di quello che questo sport ha portato, non soltanto in termini economici.

Fino a che punto può spingersi il social media manager nella gestione dei profili del proprio assistito senza rischiare di rompere il patto comunicativo di autenticità con la fan base?
Questa è una bella domanda. Anche le altre, ma questa è particolarmente interessante. La presenza di un social media manager o di un esperto nella gestione dei social è importante. Lo sportivo ha anche altro da fare, non può dedicare tutto il suo tempo alla comunicazione, deve portare avanti una carriera e quindi ha altri impegni su cui concentrarsi. Per cui il supporto di un professionista è fondamentale. I rischi sono due: uno è quello di snaturare il rapporto di fiducia che si costruisce con la propria fan base, e l’altro è quello di appiattire i profili su una comunicazione standardizzata. I profili devono essere in sintonia con l’identità reale dell’atleta, e non con una identità costruita affinché funzioni bene all’interno di un social media. Quindi no alla standardizzazione, sì a un lavoro di estrema personalizzazione della strategia di gestione dei social: meglio che funzionino un po’ meno, ma che siano rappresentativi effettivamente dell’identità della persona attraverso cui si comunica. Non è necessario che il social media manager si sostituisca per intero allo sportivo nella comunicazione sui social network, ma è auspicabile una collaborazione. E magari che questa collaborazione venga resa esplicita, soprattutto per chi è un personaggio di spicco all’interno della propria squadra e ha tanti follower. Dichiarare che c’è una collaborazione nella gestione dei canali social è importante, per non andare incontro a inciampi come alcuni casi del passato in cui qualche post pubblicato male ha rivelato all’improvviso che c’era qualcuno che aiutava l’atleta nella gestione dei profili. Faccio un esempio: se sono il calciatore che deve incontrare dei giovani atleti che si allenano in un campo particolarmente interessante e mi accompagna qualcuno che mi aiuta a far le foto e a costruire la Instagram Story, questa cosa si può anche dire senza che venga meno qualcosa nel rapporto con i fan.

Il calcio è ancora uno strumento giusto per veicolare messaggi aziendali?
Sì, certo. Nonostante tutte le difficoltà che il calcio come organizzazione, come struttura, come governance può avere, è ancora lo sport più seguito, che appassiona di più il pubblico, i fan e i tifosi. E’ un tipo di performance sportiva che continua a far parte della nostra cultura, dell’esperienza quotidiana e abituale di moltissime persone.

Giulia Spiniello

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