EUROPROFILI | Bruno Fernandes

Cresciuto ammirando Cristiano Ronaldo, lo stesso numero 7 a cui ora serve assist e da cui ha imparato tanto dentro e fuori dal campo. Alle spalle di CR7, alla conquista dell’Europa.

Bruno Fernandes

"Tutti sanno che crescendo il mio calciatore preferito era Cristiano. Credo che dipendesse da parecchi fattori. Quando Cristiano ha cominciato a fare i primi passi in nazionale e c’erano gli Europei in Portogallo, era il 2004 e io avevo nove anni. Quell’anno ce lo ricordiamo tutti, perché abbiamo perso la finalissima in casa e abbiamo visto Ronaldo piangere dopo la finale. Era un ragazzo giovanissimo che stava cominciando a brillare e io ho iniziato a seguirlo. Non perché giocasse nel mio ruolo, non era così, ma per come lavorava giorno dopo giorno, per la mentalità che aveva, per la capacità di dare sempre il 100% in ogni partita ad altissimo livello. Per me era un qualcosa di motivante, come se mi dicesse che dovevo sempre migliorare. Segnava ogni partita, ma a quella successiva cercava comunque di fare ancora meglio".

Il bello del calcio è che ti aiuta a realizzare i tuoi sogni, quelli di bambino. Oggi Bruno Fernandes gioca fianco a fianco con il suo idolo, illuminando il Portogallo, detentore del titolo europeo.

Da Cristiano Ronaldo ha assimilato la determinazione, la dedizione, la voglia di migliorarsi, il valore del lavoro e del sacrificio, l’importanza dell’allenamento. Tre maglie che lo accomunano con CR7: Sporting Lisbona, Manchester United ed, ovviamente, quella del Portogallo, tra le candidate al titolo di Campione d’Europa anche in questa edizione, per riconoscimento e qualità della rosa.

Bruno Fernandes è oggi un leader calmo, non certo appariscente fuori, punto di riferimento in mezzo al rettangolo verde: “Puoi essere un leader senza essere un capitano. Ciò che ti qualifica è il modo in cui vivi la tua vita, come sei sul campo di allenamento, come sei cresciuto, il tuo modo di essere”.

Lui, che è nato a Maia, nel distretto di Porto, nel settembre del 1994 e che per affermarsi, ha dovuto viaggiare, confrontarsi ed aspettare il momento giusto: “Ero un ragazzo testardo, ho sempre voluto giocare con i più grandi. Il problema è che non volevo solo giocare ma essere il migliorare, rischiando anche qualche giocata che non attirava particolari simpatie su di me”. È l’emblema della fretta del calcio italiano che non sa aspettare i giovani, che non ha quella pazienza necessaria per vedere i fiori sbocciare, nel tempo. Nel nostro Paese sono tanti gli atleti che dopo tre o quattro partite vengono celebrati o dimenticati. Il concetto “o la va o la spacca” è un qualcosa di arcaico che rischia di bruciare dei calciatori che in altri “lidi”, in altri momenti, esplodono facendo le fortune dei propri club.

 

Bruno Fernandes

Questa è la storia di Bruno Fernandes, giunto in Italia grazie alla straordinaria intuizione dell’area scouting del Novara Calcio che nel 2012, lo acquistano facendogli firmare il suo primo contratto da professionista, quando ancora non era maggiorenne. Un vero e proprio colpo, considerando l’investimento di appena 40.000 euro per prenderlo dal Boavista, squadra nella quale è cresciuto. Appena un anno e viene ceduto all’Udinese per 2,5 milioni. L’ Italia però non lo ha saputo aspettare, in maglia bianconera, come dicono quelli bravi, si fa le ossa con 24 presenze totali per poi esser ceduto alla Sampdoria.

Bruno però compie un passo indietro per farne due avanti. Torna in Portogallo e riesce nell’impresa di essere profeta in patria. La vera esplosione e maturazione arriva allo Sporting Lisbona: in poco più di due stagioni gioca 137 partite segnando 67 reti e 52 assist che hanno mandato in rete i suoi compagni: “Per me è stato importante tornare e farmi un nome in Portogallo, così la gente, i tifosi e gli addetti ai lavori hanno avuto modo di scoprire chi ero”. Ecco, quel misto tra testardaggine e determinazione a cui accennavamo prima, caratteristiche che ne descrivono il profilo caratteriale. Per una volta, vi abbiamo declinato alcuni numeri della carriera del protagonista del nostro approfondimento perché utili nel capire, non solo il giocatore, ma anche l’uomo.

Bruno Fernandes

Bruno Fernandes è un fantasista, un creativo, un talento che ha bisogno, oltre di fiducia, di spazio e coraggio. In Italia, tappa comunque essenziale per la sua maturazione, si ritrovò imprigionato in schemi rigidi, nella tattica, trovando un muro  praticamente quasi insormontabile nelle granitiche difese di italica ispirazione. Se uno dei film dei fratelli Coen s’intitola Non è un Paese per vecchi, noi potremmo dire che l’Italia Non è un Paese per fantasisti, come lui stesso disse: “In Italia il trequartista viene un po’ mancare: all’estero gioca sempre 90 minuti perché si esprime negli spazi, è difficile che riesca a giocare tutta una gara perfettamente, perché deve prendersi dei rischi.”

Cosa traspare del suo profilo? Cosa ci comunica? Una calma straordinaria, basta leggere o vedere qualche sua intervista. Pacato con  i giornalisti,  equilibrato nelle sue dichiarazioni. Lucido e coraggioso nelle giocate in campo, spesso e volentieri azzeccate, adatte al momento e, magari, al movimento dei compagni. Il metronomo oggi di un giovane Manchester United, ricco di talento che ha abdicato pochi mesi  fa solo davanti alla “spensieratezza” ed incoscienza di un imprevedibile sottomarino giallo come il Villareal. Le sue lacrime a fine partita, ne hanno mostrato la delusione quanto l’agonismo, la voglia di arrivare e trionfare.

Ha carisma, ha coraggio nelle giocate ed è consapevole del suo talento, quanto dell’importanza del lavoro di squadra: “Vincere trofei è la cosa più importante. Ovviamente per un giocatore fa piacere conquistare titoli individuali, non dirò mai che non voglio essere il miglior giocatore della Premier League, ma voglio esserlo se vinciamo qualcosa. La cosa più importante è aiutare i compagni, nessuno nel calcio come in ogni altro sport di squadra, vince un trofeo individuale da solo. Anche per emergere come singolo serve l’apporto di tutti.”

Bruno lavora costantemente, quotidianamente per essere il migliore. Il Novara lo ha lanciato, l’Udinese e la Samp lo hanno fatto crescere, lo Sporting lo ha fatto esplodere, lo United lo ha consacrato, senza dimenticare la maglia del Portogallo. Ogni tappa uno step di crescita, consapevole del fatto, come ricordato all’inizio con il paragone con Cristiano Ronaldo, che ogni giorno si può migliorare, con umiltà e perseveranza: “C’è sempre tempo per migliorare. È impossibile essere il calciatore peggiore di tutti perché hai tempo per lavorare; è impossibile essere sempre il migliore per lo stesso motivo. Se vedi Cristiano o Messi, ogni stagione migliorano. Com è possibile? Tutti dicono che è impossibile fare di meglio ma, ogni anno, fanno sempre qualcosa di straordinario battendo i record dell’anno precedente”.

Cos’altro aggiungere su di lui? Il giocatore e l’uomo si vedono nelle difficoltà. Chiudiamo quindi il nostro focus sul portoghese prendendo in prestito la sua frase pubblicata sui social dopo la sconfitta in finale di Europa League, una sintesi perfetta di cosa significhi essere un leader: “Vinciamo insieme e perdiamo insieme, quando qualcuno fallisce falliamo tutti, quando qualcuno segna  lo facciamo tutti, quando qualcuno fa una parata la facciamo tutti…Always United.”

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