EUROPROFILI | Andrew Robertson

La storia di Andrew Robertson ci insegna a non mollare, a crederci sempre, a saper cadere, accettare la sconfitta ma da questa imparare, crescere e rialzarsi. Fino a conquistare la vetta del mondo.

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Sembra passata un'eternità da quel famoso tweet tirato fuori dalla stampa di tutto il globo dopo che Robertson è divenuto uno dei punti fermi del Liverpool.

Era il 2012, esattamente il 18 Agosto, quando Andrew, come a deporre le armi, scrisse sul suo account Twitter “Life at this age is rubbish with no money #needajob”.

Oggi quell’hashtag fa a dir poco sorridere, ma all’epoca c’era tutta la delusione di un ragazzo di 15 anni appena scartato dal Celtic Football Club: “Se vieni lasciato andare dal Celtic, il club per cui tifi, e vai al Queen’s Park, la gente pensa che sia tu sia un disastro. Non ricordo di aver pianto, ma ero molto turbato. Da ragazzo,ti rendi conto che il tuo sogno è stato portato via. Per fortuna, avevo intorno a me persone che mi hanno aiutato, quella è stata la cosa più importante, decisiva nella mia rinascita”.

Il colpo fu duro, soprattutto perché da adolescente ti ritrovi in uno dei due migliori club scozzesi e pensi quasi di avercela fatta. Quando parla del  Queen’s Park, si riferisce ad un club non professionistico di Glasgow militante in Scottish Third Division. Quel ragazzino esile (questa la motivazione specifica o almeno ufficiale per la quale fu scartato dal Celtic), però, non si arrende, riparte e torna nel professionismo già nel 2013 con il Dundee FC.

Andrew, proprio per quel che ha passato, non crede nelle favole: “Non molte cose mi danno fastidio, ma se c’è ne è una è l’idea che la mia storia sia una favola calcistica. A mia memoria non ricordo che nessuna bacchetta magica sia stata rivolta verso di me. Non ho vinto alla lotteria per ottenere un posto in uno dei più grandi club al mondo.” Concretezza e consapevolezza, tipico degli scozzesi, popolo orgoglioso e mai domo: “Ho sempre creduto nelle mie capacità. Dovevo solo lavorare sodo ed essere paziente. È vero a volte sembrava difficile. Hai sempre bisogno di un po’ di fortuna, ma ogni possibilità che mi è stata data, l’ho sfruttata. Ho sempre guardato avanti piuttosto che indietro, quello che è successo in passato non posso cambiarlo ora. Ciò che invece verrà è nelle mie mani”.

Dal Dundee FC poi passò all’Hull City, la vera svolta della sua carriera. È vero, Robertson non crede nelle favole, ma tra un'intervista e l’altra, tra una dichiarazione ed un virgolettato rilasciato ai giornalisti, c’è un passaggio che possiamo definire contraddittorio: “Quando mi sono trasferito all’Hull City e ho iniziato a giocare contro i campioni della Premier League, per capire se non stavo sognando, mi sono dato un pizzico da solo. Per realizzare realmente quello che stava accadendo e che avevo conquistato”.

Il club della città di Kingston upon Hull, gli consentì di farsi notare dai tifosi e soprattutto dagli addetti ai lavori del campionato inglese come un terzino instancabile, inesauribile, abile a svolgere le due fasi con cross e assist spesso determinanti. Per 8 milioni di sterline nel 2017 Andrew Robertson diventa un giocatore del Liverpool, l’incontro con Jurgen Klopp, così come per molti suoi compagni, gli ha fatto conquistare una “rilevanza” internazionale: “Il Coach fa tutto al 100%. Sia che si tratti di un allenamento, di un’amichevole o di una gara ufficiale dà il massimo e pretende il massimo. Una filosofia di vita e lavoro che apprezzo particolarmente. Cerco sempre di pormi degli standard elevanti e quando scendo sotto di questi non sono felice”.

Robertson è il classico giocatore che suda la maglia, che fa avanti ed indietro sulla fascia con un’applicazione invidiabile. Uno scozzese coraggioso adottato dalla gente di Anfield Road, che ama ed impazzisce per profili del genere. Robertson, calcisticamente parlando, è l’emblema della working class, in fondo Glasgow e Liverpool si assomigliano nello spirito operaio, nell’accezione più positiva del termine. Oggi è il cuore pulsante e motore della Scozia che è tornata a disputare un evento importante dopo diversi anni, esattamente dal Mondiale di Francia 1998.

“Con o senza fascia, mi piacerebbe indossare i colori del mio Paese”.

Tempo fa si espresse così, alla fine, ha raggiunto il suo obiettivo, il suo sogno (pur non essendo una favola) da capitano con orgoglio e senso di appartenenza. Robertson ha personalità declinata in altruismo, ogni occasione è buona per valorizzare e diffondere il concetto di squadra, l’importanza del gruppo: “Tutti dobbiamo dare il nostro contributo con gol e assist, non solo gli attaccanti. E tutti dobbiamo difendere non solo i difensori. È un gioco di squadra”.

Un concetto lineare, semplice, che viene declinato meglio ampliando il “bacino d’utenza”. Una squadra non sono solo i giocatori: “I calciatori sono quelli che vanno in campo e si esibiscono, ma dietro c’è molto altro. C’è lo staff, c’è il personale che ci supporta in ogni piccolo dettaglio, che sia un consiglio o un trattamento sul lettino. Questo significa essere una squadra, ognuno è importante e può essere decisivo. Quando è il giorno della partita, in campo andiamo tutti”.

Parole da Capitano. Parole da leader.

Per concludere questo approfondimento dedicato ad Andrew Robertson ci affidiamo ad una citazione di Fuad Alakbarov, attivista per i diritti umani azero-scozzese ed esperto di politica internazionale: “Londra può avere più denaro e Vienna più cultura; Roma può avere più storia e Parigi più stile. Ma Glasgow ha il cuore più grande”.

Robertson un cuore enorme, oggi diviso tra Liverpool e la sua amata madre patria Scozia.


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