Il gioiello di Frosinone

Un reportage per comprendere uno dei modelli virtuosi del calcio italiano

a cura di Luigi Di Maso

Il 23 agosto 2015 il Frosinone debutta per la prima volta nella storia in Serie A e lo fa allo stadio Matusa, contro il Torino.

Un impianto storico per il culto sportivo della città, uno stadio in cui oggi possono entrarci tutti, senza biglietto, ogni giorno della settimana, perché il vecchio Matusa è diventato letteralmente un parco pubblico. Di quel vecchio pezzo di storia è rimasta solo la tribuna centrale che era appunto denominata “Matusa” e dava allo stesso tempo il nome allo stadio.

Quella tribuna coperta sopra la quale si arrampicava, come ricorderanno molti ciociari, Riziero Di Camillo, storico tifoso del Frosinone che agitava un bandierone giallo-blu nei finali di partita vittoriosi. 

Oltre la tribuna rimasta intatta, l’intero Matusa è stato abbattuto per diventare il luogo ideale in cui i bambini possono giocare a calcio e sognare un giorno di vestire la maglia dei “leoni ciociari”. Oggi il Matusa è anche una metafora. Le macerie del vecchio stadio hanno lasciato spazio al nuovo, nuovissimo Benito Stirpe, lo stadio che dal 2017 è la casa del Frosinone e che rappresenta un modello virtuoso per tutto il calcio italiano e il filone degli stadi di proprietà.

Lo stadio in cui il 1° maggio 2023 il Frosinone ha celebrato letteralmente con i suoi tifosi (con tanto di invasione di campo) una nuova promozione in A, la terza della sua storia.

Ma c’è ancora tempo prima di parlare del presente più recente.

Ad ottobre dell’anno scorso ho visitato il parco Matusa per la prima volta.

Ci arrivavo con la curiosità e la necessità di interiorizzare la sensazione che si prova a calpestare un pezzo di cemento, ieri di erba probabilmente sintetica, sulla quale ha segnato gente come Dybala, Higuain o Icardi. Non è semplice da spiegare, ma è come se si riuscisse a immaginarsi alcune azioni della stagione 2015 – 2016. È come se, guardandosi intorno, si riuscisse ad udire ancora l’eco sordo dei cori e dei sussulti dei tifosi ciociari.

Il parco Matusa oggi custodisce nella mente di tifosi ed ex calciatori la tradizione del Frosinone. Quella tradizione che decido letteralmente di incontrare. 

A Frosinone ci sono personaggi che ci fanno fare pace col presente

Al Matusa ci arrivo per incontrare Angelo Brunello, ex calciatore degli anni '70 del Frosinone che ci viene incontro e si riconosce perché trasporta su una mano un pallone da calcio che scopriamo poi essere quello di un suo gol che è valso una vittoria importante contro la Salernitana, in un campionato di Serie D di circa 40 anni prima.

Brunello è una raffica di ricordi. Mentre gli porgo alcune fotografie e ritagli di giornale che lui stesso aveva portato all'appuntamento, comincia ad elencarmi in ordine di posizionamento gli 11 giocatori immortalati in una delle foto in questione. C'è anche Massimo Palanca che Brunello decide di raggiungere telefonicamente, senza preavviso. Un gesto che regala a me, a Manuel della comunicazione del Frosinone e Leo il nostro videomaker, un momento di quelli unici, genuini, che riusciamo ad immortalare nella clip dell'intervista che stiamo girando.

La sera dell’intervista resto a Frosinone. L’intenzione è quella di comprendere ancora meglio altri pezzi di storia del club. Motivo per cui per la scelta del ristorante vado mirato in un posto particolare, precisamente alla ‘Mbriachella, un posto reso celebre per via della tradizione culinaria ciociara preservata nel corso degli anni, ma soprattutto per la fama del titolare, Ennio Scaccia, tifoso e abbonato del Frosinone da una vita.

Il ristorante di Ennio è un inno ai luoghi comuni sull’Italia e sulla provincia, ma con un’accezione diversa da quella che si può immaginare. Un simbolismo non tossico, quasi ingenuo, ed effettivamente rappresentativo di una parte del Paese. Dopo pochi minuti, capisci che tutto ciò che addobba il locale non è lì per creare una rappresentazione ragionata, voluta, ma che invece sono pezzi di vita vissuta del titolare e della sua famiglia.  

La scontatezza delle cartoline della Sardegna appese ad una bacheca, acquisisce potenza comunicativa grazie alle foto di quella vacanza della famiglia Scaccia. In bella vista, senza filtri, così come un album di famiglia aperto al pubblico. Vicino c’è una statuetta che raffigura il cuoco italiano medio: vestito con una maglia bianca, baffo folto, di mezza statura e col pancione.

Un luogo comune appunto, ma tale solo fino a quando guardandosi intorno non si incrocia con lo sguardo Ennio che è praticamente uguale alla statuetta, con la sola differenza dei capelli bianchi dovuti all’età.

E poi le foto con e dei calciatori, i gadget, i calendari dell’ultima stagione in Serie A e tutto ciò che è Frosinone calcio.

Dopo una scorta di “fini-fini” al ragù mi alzo in piedi e faccio un giro più attento alle pareti del locale, quando la gran parte dei clienti stanno per abbandonare la sala. La prima sensazione che percepisco è quanto sia importante per far sentire grande una piccola provincia urbana, avere una squadra che bazzichi tra la Serie A e la Serie B.

L’orgoglio e il senso di appartenenza che genera la squadra della propria città nei comuni tra i 50 e i 100 mila abitanti non ha eguali in altri posti. Le pareti del ristorante la ‘Mbiachella fanno capire quanto per Ennio tifare sin da bambino il Frosinone sia stata una scelta esogena, frutto dell’ambente circostante che però avrebbe definito meglio di qualsiasi altra cosa identità e buona parte della propria autodeterminazione.

Ennio racconta il calcio di provincia meglio di altri strumenti narrativi, e non lo fa con le parole, basta osservarlo.

Considerazione che fa de la ‘Mbriachella uno dei posti di culto e da visitare a Frosinone, come fosse un’attrazione turistica, o forse lo è, prima di essere un ristorante dove si mangia anche bene.

Il Benito Stirpe: lo stadio abbandonato diventato gioiello di Frosinone

Torniamo al primo maggio. Dopo i 4 minuti di recupero arriva il triplice fischio di Alessandro Prontera.

Il Frosinone ha battuto la Reggina per 3 a 1 e può festeggiare la promozione in Serie A aritmetica con 3 giornate di anticipo. Scatta la festa ovunque, anche sugli spalti, una gioia che si riversa dopo pochi secondi letteralmente in campo perché gran parte del pubblico si fionda in campo per un’invasione in vecchio stile.

Nei primi secondi c’è la sensazione che possa scatenarsi il panico. Non sono pochi quelli che scivolano e cadono per terra a causa del manto erboso bagnato per via di una pioggia che non ha cessato mai nelle ultime 24 ore.

Eppure, nonostante il delirio più totale, calciatori e staff accolgono discretamente bene l’invasione e l’enfasi dei tifosi. Grosso viene strattonato dai più, Insigne risponde all’insistenza delle richieste dei tifosi dicendo letteralmente di non voler restare in mutande, dopo aver donato diversi pezzi di merchandise.

Tutti trovano il proprio posto nel mondo sul prato dello Stirpe.

Il manto erboso di uno stadio che è un asset fondamentale per il Frosinone. Il fiore all’occhiello della programmazione di un club che ogni anno in più aggiunge un mattone alla struttura sempre più solida definita anni fa dalla famiglia Stirpe.

Poco più di un anno fa avevo cominciato con una serie di tappe a Frosinone, costantemente accompagnato dal desiderio di rispondere ad una domanda: cosa vuol dire avere uno stadio di proprietà.

Per comprenderlo ho chiesto a chi in parte uno stadio di proprietà lo gestisce, ovvero il direttore marketing e comunicazione del Frosinone Salvatore Gualtieri.

L’intervista di un anno fa che avevo sepolto a causa di una serie di mie procrastinazioni, oltre che di una stagione conclusa senza playoff per il Frosinone, ovviamente mi riferisco alla 2021 – 2022, inizia proprio con la domanda diretta “Cosa vuol dire avere uno stadio di proprietà”.

«Purtroppo, in Italia ce ne sono davvero pochi.

Avere uno stadio di proprietà oggi vuol dire poter lavorare davvero con gli sponsor, con il territorio e i tifosi insieme all’area marketing. Vuol dire poter creare delle condizioni di accoglienza e confort particolari per gli spettatori.

Qui abbiamo delle aree davvero spaziose, come i palchetti che non trovi negli altri stadi e sono praticamente proiettati sul campo e che ad ogni partita vanno sold out. In tutto ne sono 18 e sono una cosa diversa dagli Sky Box che comunque abbiamo nello stadio.

Questa parte di tribuna centrale è la parte che insieme all’area guest offre un valore aggiunto agli sponsor del Frosinone».

In Italia abbiamo un problema ormai iper-inflazionato da più di una decina di anni, ma su cui si spendono solo parole e non investimenti. Il problema degli stadi di proprietà è una spada di Damocle che si abbatte sul nostro sistema calcio e da cui non riusciamo ad uscirne trovando una soluzione che possa funzionare da standard per i diversi club di Serie A e Serie B.

Eppure, anche il direttore Gualtieri mi parla della gestione dell’impianto come una continua evoluzione sia di chi ogni giorno lavora per renderlo funzionale 7 giorni su 7, sia per il club che può scovare quotidianamente opportunità che non sarebbero percorribili con un impianto in affitto.

Come cambia a livello quotidiano avere uno stadio di proprietà, anche nell’iter organizzativo di una partita?

«Beh, cambia totalmente, ma in bene.

Noi abbiamo la missione di far vivere lo stadio tutti i giorni, non solo nel matchday.

Per questo ci siamo strutturati con un’area eventi che lavora a stretto contatto con quella marketing. Si occupa proprio di questa missione e devo dire che nel giro di questi anni abbiamo organizzato eventi di svariate tipologie.

Mediamente riusciamo a fare 50-52 eventi all’anno.

Dai meeting di aziende alle riunioni con i clienti, presentazione di prodotti nuovi, di libri, incontri istituzionali o master. Per dirti, nel 2022 abbiamo dato lo stadio in affitto per 10 giorni ad uno studio di produzione televisiva.

Addirittura, una volta abbiamo affittato il piazzale davanti lo stadio per una fiera, in altri casi abbiamo affittato lo stadio per concerti, però quelli generalmente li puoi fare in un periodo limitato a giugno e luglio. Nel primo anno ne abbiamo fatti 2.

Questo per farti capire che con uno stadio di proprietà puoi immaginarti diverse soluzioni per le fonti di introiti. Dipende tutto dalla creatività e proattività dell’area marketing ed eventi».

Nel 2018, poco dopo l’inaugurazione dell’impianto, il Benito Stirpe ha ospitato gli European Latin Awards 2018. Un festival musicale di livello internazionale che ha visto la partecipazione a Frosinone di artisti del calibro di Bobby Kimball (cantante dei Toto) e il dj Bob Sinclair.

Quanto costa ad esempio affittare lo stadio per un concerto?

«Dipende dall’accordo che fai volta per volta con la controparte, generalmente ci sono 2 tipi di trattative.

In uno puoi dividere i costi vivi necessari per l’apertura dello stadio, e poi si divide tutto l’incasso.

Nell’altro tu chiedi un fisso per l’affitto e poi chi organizza il concerto si prende tutti i ricavi che riesce a generare.

Per un affitto semplice ci aggiriamo attorno ad una cifra che è circa di 300.000€».

L’idea del management del Frosinone è quella di un progetto stadio in continua evoluzione, perché sarebbe un errore non considerare che lo stadio debba evolvere così come si evolvono i tempi e le necessità dei tifosi, anche a livello strutturale e logistico.

Quali sono i lavori futuri di ulteriore ammodernamento dello stadio?

«Stiamo lavorando al Frosinone Village, mentre da dicembre abbiamo aperto quello che impropriamente chiamiamo “Frosinone Pub” ma in realtà è un ristorante. È un punto di incontro per tifosi e calciatori, perché questi ultimi fanno colazione e pranzo lì. Sarà nello stadio ma sarà un posto aperto al pubblico tutto il giorno per apertivi, cene di lavoro ecc.

Ci abbiamo lavorato per anni.

Mentre il Frosinone Village sorgerà all’esterno dello stadio, ma all’interno della proprietà Stirpe, quindi dopo i tornelli per intenderci. Questo progetto è pronto da tempo ma fermo da anni perché il Comune sta sistemando un problema di transito dell’area, dato che l’accesso al settore ospiti sarebbe in concomitanza col Village e per ragioni di sicurezza la Questura sta studiando la situazione per darci l’ok finché non verrà costruito un altro ingresso per il settore ospiti.

È più una questione burocratica perché le strade ci sono già. Sbloccato questo punto noi saremo pronti».

Il Benito Stirpe è un impianto costato poco più di 11 milioni di euro tra lavori di ristrutturazione recenti e risoluzione di problemi che il vecchio impianto Casaleno si portava avanti da diversi anni. La struttura su cui oggi sorge il nuovo Benito Stirpe infatti risale a dei lavori avviati in occasione dei Mondiali di Italia ‘90. A causa di problemi di approvvigionamento finanziario i lavori però vennero sospesi prima della competizione vinta dalla Germania.

Solo dopo tanti anni di abbandono e di progetti di finanziamento regionale e privati mai concretizzati si è arrivati alla struttura che possiamo ammirare oggi, portata a termine definitivamente nel 2017. Non prima della prima e meritata storica promozione del Frosinone in Serie A nel 2015, quando la squadra capitanata da Federico Dionisi giocava ancora al vecchio Stadio Comunale “Matusa” all’interno della città, oggi luogo in cui sorge il già citato parco pubblico, con la tribuna dello stadio unico pezzo rimasto in piedi che oggi funge da luogo di socializzazione.

L’intervista al direttore Gualtieri verso la fine scivola su una parte a cui tengo discretamente, ovvero l’integrazione di una struttura di proprietà e la sua valorizzazione attraverso gli strumenti digitali.

Come fa il Frosinone a sfruttare i social per valorizzare lo stadio e generare nuovi introiti?

«Ogni partnership con gli sponsor prevede una parte di monetizzazione digitale.

Questa fase l’abbiamo quantificata con un listino per ogni spazio e attività, oltre al fatto di farci trovare pronti ci permette anche di stimare i guadagni che arrivano attraverso al digitale. Da anni poi, e in questo mi sento di dire che siamo stati tra i primi in Serie B, abbiamo avviato un processo di fidelizzazione dei tifosi tramite fidelity card, piattaforme proprietarie come sito ufficiale e applicazione.

Quella dei social e del marketing è un’area che ci ha dato molte soddisfazioni».

Tre-quattro anni fa il Frosinone aveva cominciato una fase di tournée all’estero per portare il brand al di fuori dei confini nazionali. Come vi state muovendo in questo senso?

«Abbiamo fatto un’attività qualche anno fa che ha regalato molta gioia ai ciociari in Canada, perché tutta la preparazione l’abbiamo svolta lì. Era un’attività che fa parte del progetto Frosinone Experience.

Il Covid ci ha bloccato perché in realtà volevamo fare altri ritiri all’estero. Tra Covid e un’altra parte del progetto che prevede il rafforzamento dell’immagine del marchio a livello locale, quindi in Ciociaria, abbiamo ripreso a fare preparazione e ritiro qui, gli ultimi li stiamo facendo a Fiuggi.

Sempre tornando al discorso estero. Questo concetto lo stiamo sviluppando per ora con le Academy, uno strumento ideale secondo me per l’internazionalizzazione del brand. Abbiamo circa 35 società affiliate e 7-8 di queste sono all’estero.

Una quindicina di ragazzi canadesi sono venuti a fare uno stage con la nostra Primavera diversi mesi fa».

Nel 2015 la prima storica promozione in Serie A del Frosinone è stata il volano perfetto per ultimare i lavori dello stadio Stirpe. Quella invece ottenuta dopo un campionato dominato dall’inizio alla fine, nonostante la competizione con squadre prestigiose come Genoa, Parma, Cagliari, Venezia e Bari, rappresenta più il punto esclamativo di un progetto e un ambiente che è giunto al punto di equilibrio perfetto.

Un ambiente di lavoro in cui i valori e il lavoro fuori e dentro al campo si sovrappongono e bilanciano praticamente alla perfezione.

La sensazione è che per il Frosinone una retrocessione o una stagione senza nemmeno raggiungere un obiettivo sportivo minimo come i playoff proprio come l’anno scorso, non risulterebbe un problema grosso come un macigno. La visione qui è diversa, perché ogni anno c’è solo una squadra che vince e 19 che non vincono.

Se si rientra in quei 19, essere un club sano può fare tutta la differenza del mondo.